Diabete tipo 2, obesità e immunometabolismo: al San Raffaele DRI in corso una ricerca d’avanguardia

Diabete tipo 2, obesità e immunometabolismo: al San Raffaele DRI in corso una ricerca d’avanguardia

La ricerca scientifica del Diabetes Research Institute dell’Ospedale San Raffaele di Milano sta indagando una possibile relazione tra sistema immunitario e metabolismo, grazie alla Dott.ssa Alessandra Petrelli, vincitrice di una prestigiosa borsa di studio, finanziata dalla Commissione Europea, la Marie Skłodowska-Curie Individual Fellowship. L’importanza di questo progetto multidisciplinare l’ha indotta a tornare in Italia per sviluppare una ricerca innovativa, originale e di rilevanza sociale, su due patologie in spaventosa crescita, quali obesità e diabete di tipo 2, entrambe di forte impatto socio-sanitario e che spesso si associano nello stesso soggetto, tanto da portare l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a coniare il neologismo “diabesità”.

I talenti a volte ritornano, per fortuna!

Seguiremo gli sviluppi della ricerca “Diabete tipo 2, obesità e immunometabolismo” nel corso del tempo, aggiornandovi progressivamente sui risultati. Iniziamo questo percorso, conoscendo meglio la d.ssa Alessandra Petrelli e come ha maturato le competenze e la passione per dedicarsi a questa ricerca.

D.ssa Petrelli, come avviene l’assegnazione di borse di studio per progetti di eccellenza come quello di cui è vincitrice? Si parla tanto di ricerca, ma – in realtà – sono in pochi a saperlo…

Il Ministero della Salute contribuisce in parte minima al finanziamento della ricerca attraverso i fondi annuali strutturati per la Ricerca scientifica. I finanziamenti più consistenti sono quelli che i ricercatori (e questo vale in tutto il mondo) si aggiudicano, partecipando con progetti di eccellenza a bandi di Enti Nazionali ed Internazionali (come quello di Marie Skłodowska-Curie Actions) che vengono assegnati attraverso un complesso e difficile processo competitivo di Peer-review. Per raggiungere i nostri ambiziosi obiettivi, però, questi fondi non sono mai sufficienti; per questo il sostegno di ogni singolo cittadino che creda nel valore della ricerca è per noi fondamentale, perché ci permette di lavorare con costanza e di ottenere risultati importanti per tutta la comunità.

Cos’è la Marie Skłodowska-Curie Action, che ha finanziato la sua borsa di studio?

I progetti Marie Skłodowska-Curie Individual Fellowship sono valutati secondo un processo di peer review da almeno 3 esperti internazionali indipendenti, sulla base di tre criteri di valutazione: Eccellenza scientifica, Impatto e Implementazione.
Il processo prevede una prima fase di valutazione individuale, da remoto, e una seconda fase, che si svolge a Bruxelles, durante la quale avviene il Consensus meeting. Nel Consensus Meeting, gli esperti coinvolti nella valutazione delle stesse proposte discutono e si confrontano con l’obiettivo di raggiungere un consenso finale sul punteggio definitivo da assegnare a ciascuna proposta e, quindi, di stilare la ranking list finale.
Ogni anno per la call Marie Skłodowska-Curie Individual Fellowship sono presentate circa 9.000 domande da ricercatori di qualsiasi nazionalità e in qualunque fase della loro carriera. Il tasso di successo è del 13% circa. Questo progetto per lo studio di diabete tipo 2, obesità e immunometabolismo ha ricevuto ottime valutazioni da parte dei revisori, ottenendo un punteggio finale di 98/100.
Sono molto soddisfatta di aver ottenuto questo riconoscimento e grata dell’opportunità di tornare in Italia, nel Diabetes Research Institute, dove ho la possibilità di applicare le conoscenze che ho maturato all’estero in area clinica e di ricerca.”

Da quando si occupa di ricerca sul diabete?

Durante la Scuola di Specializzazione in Medicina Interna presso l’Ospedale San Raffaele di Milano, ho iniziato a occuparmi di trapianto d’organo e di cellule beta (le cellule del pancreas deputate a produrre l’ormone insulina) in pazienti con diabete. Dal 2009 al 2010, ho lavorato presso il Children’s Hospital di Boston (Stati Uniti) dove ho studiato nuove strategie terapeutiche per indurre l’accettazione del trapianto di cellule beta in modelli preclinici di diabete di tipo 1. Dal 2013 ho lavorato presso l’University Medical Center di Utrecht (Olanda) nell’ambito di un Network internazionale finanziato dalla Commissione Europea, focalizzandomi sullo studio dei meccanismi che regolano l’infiammazione tissutale nei siti bersaglio di diverse malattie caratterizzate da infiammazione cronica, incluso il diabete.

Com’è nata l’idea di questa ricerca, che vuole indagare il potenziale ruolo del sistema immunitario dall’obesità al diabete di tipo 2?

Il ruolo dell’immunità è più spesso associato al diabete di tipo 1, essendo quest’ultima una malattia autoimmune…

Siamo partiti da un numero impressionante, che ci ha colpito: oltre 600 milioni di persone adulte nel mondo (il 13% della popolazione) soffrono di obesità. Questa epidemia crescente ne provoca a cascata un’altra: quella del diabete di tipo 2, una patologia, in molti casi, strettamente associata all’eccesso di peso. La ricerca scientifica è ormai concorde nel ritenere che questa associazione obesità → diabete = diabesità rifletta un processo infiammatorio del tessuto adiposo, probabilmente innescato da un eccesso di nutrienti, che determina progressivamente uno stato di resistenza delle cellule all’azione dell’insulina (insulino-resistenza) e che si manifesta nel lungo periodo in livelli elevati di glucosio nel sangue (iperglicemia), fino alla diagnosi conclamata di diabete di tipo 2. Nel diabete autoimmune (diabete di tipo 1) è riconosciuto il ruolo del sistema immunitario nello scatenare la distruzione delle cellule che producono insulina nel pancreas. La novità di questo progetto sta nell’idea che il sistema immunitario abbia un ruolo sostanziale anche nel diabete di tipo 2.

Il diabete, insieme all’obesità, rappresenta una delle sfide contemporanee più impegnative in tema di salute pubblica…

Proprio per questo è importante trovare strategie per interrompere il processo che dall’obesità porta al diabete e prevenire o bloccare i processi che portano all’insulino-resistenza. La nostra ricerca va in questa direzione, indagando il ruolo del sistema immunitario nella comparsa di resistenza all’insulina. Il nostro è indubbiamente un obiettivo ambizioso, ovvero riuscire a testare se, nell’uomo, le cellule del sistema immunitario svolgano un ruolo nell’innescare il processo che dall’obesità porta al diabete di tipo 2. Fare luce sui meccanismi coinvolti aprirebbe la strada allo sviluppo di nuovi trattamenti non invasivi.

Da quale ipotesi siete partiti?

Nel nostro progetto, ci siamo proposti di studiare l’insulino-resistenza da una prospettiva immunologica. È bene sottolineare che negli ultimi 10-15 anni si è scoperto che il tessuto adiposo (massa grassa) non è utile solo come deposito di grasso quale fonte energetica ma, al contrario, funziona come un vero e proprio organo endocrino e immunologico, che secerne ormoni, fattori di crescita, ed è popolato da numerose cellule del sistema immunitario. La nostra ipotesi è che i linfociti T, cellule fondamentali del sistema immunitario, infiltrino il tessuto adiposo viscerale (grasso che circonda gli organi) dei pazienti obesi e si trasformino in cellule altamente pro-infiammatorie, sviluppando la capacità di indurre insulino-resistenza. Esiste oggi una crescente letteratura di studi condotti su animali che dimostra in modo chiaro e solido come il sistema immunitario – comprese le cellule T – possa essere coinvolto nello sviluppo del diabete di tipo 2 e, in particolare, della resistenza all’insulina. Con questa ricerca, vogliamo testare se questo riscontro vale anche per gli essere umani e, in caso affermativo, identificare le molecole responsabili dell’induzione di resistenza all’insulina. L’obiettivo finale del progetto è quello di identificare i mediatori dell’insulino-resistenza e bloccarne lo sviluppo grazie alla messa a punto di strategie terapeutiche alternative per l’obesità e il diabete di tipo 2, che abbiano meno effetti collaterali rispetto a quelle oggi disponibili. Una bella sfida, per noi ricercatori!

Dove raccogliete i campioni di tessuto adiposo per la vostra ricerca?

I campioni vengono prelevati da pazienti sottoposti a intervento di chirurgia dell’obesità (chirurgia bariatrica) che hanno firmato il consenso informato e che, quindi, sono a conoscenza di partecipare al progetto di ricerca. Inoltre, i pazienti arruolati nello studio clinico vengono seguiti costantemente nei mesi successivi all’intervento chirurgico; i parametri clinici, metabolici ed immunologici raccolti, vengono poi associati all’esito finale dell’intervento, e cioè alla perdita di peso. Questo ci permette anche di comprendere se specifiche caratteristiche del sistema immunitario possono influenzare il calo ponderale a seguito dell’intervento di chirurgia bariatrica.

Quante fasi prevede la vostra ricerca?

La ricerca si pone 4 obiettivi.

Il primo obiettivo, attualmente in corso, consiste nell’analisi delle caratteristiche e delle funzioni dei linfociti T umani nel tessuto adiposo di pazienti obesi.
Per realizzare il secondo obiettivo, i linfociti T e le cellule adipose verranno studiati in vitro per vedere se e come esse interagiscano, e per identificare eventuali collegamenti.
Il terzo obiettivo è quello di scoprire quali molecole e mediatori siano coinvolti nell’interazione tra le cellule T e il tessuto adiposo, in modo da sviluppare nuovi farmaci che possano
interagire con queste molecole. L’obiettivo finale è quello di identificare i meccanismi legati allo sviluppo dell’insulino-resistenza, e proporre nuovi approcci per il trattamento del diabete di tipo 2.
Infine, il quarto obiettivo, si propone di definire se il sistema immunitario può interferire con la capacità di perdere peso a seguito dell’intervento chirurgico. L’ipotesi in questo caso è che, oltre all’eccesso di nutrienti, anche ulteriori fattori, quali appunto il sistema immunitario, possano influenzare l’incremento di peso, oppure, impedire il calo ponderale.

Sappiamo che il progetto è multidisciplinare: con chi collabora?

La ricerca viene realizzata al San Raffaele Diabetes Research Institute (DRI) di Milano in collaborazione con il Dott. Carlo Socci, Responsabile dell’Unità di Chirurgia Metabolica-Bariatrica e del Dott. Alessandro Saibene, Responsabile dell’Unità di Nutrizione Clinica, dell’Ospedale San Raffaele. Inoltre, sono in corso collaborazioni con gruppi di ricerca internazionali come quella con il Dott. Eric Kalkhoven dell’University Medical Center di Utrecht (Olanda).

Grazie d.ssa Petrelli, da ultimo ricordiamo come si fa a donare per la Ricerca del Diabetes Research Institute.

Sostenere la Ricerca del Diabetes Research Institute (DRI) dell’Ospedale San Raffaele è facile e possibile con diverse modalità. Tutte le informazioni sono riportate in questa pagina del sito: dri.hsr.it/sostienici.
È importante ricordarsi di indicare nella causale il progetto di ricerca che si intende sostenere per usufruire delle agevolazioni fiscali concesse dalla legge agli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS). Nel caso si intenda sostenere questo specifico progetto di ricerca, indicare nella causale “Sostegno alla ricerca del DRI – Dott.ssa Petrelli”. Per ulteriori informazioni, è possibile scrivere a questa email: donazioni@hsr.it

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