Intervista al prof. Romolo Appolloni
Direttore UOC di Oculistica Ospedale Sant’Eugenio di Roma
Diagnosi tardiva, carenza di strutture e personale, restrizioni nelle scelte terapeutiche: le principali criticità dei percorsi di cura per maculopatie e retinopatie nel Lazio.
L’impiego dei farmaci antivitreali per la maculopatia e la retinopatia essudative ha contribuito positivamente alla riduzione di nuovi casi di ipovisione e cecità.
Qual è la situazione attuale per quanto riguarda l’accesso all’utilizzo delle terapie antivitreali in Italia e nel Lazio?
“La prima criticità è la diagnosi tardiva: per i pazienti affetti da maculopatia o da retinopatia è il ritardo con cui queste patologie vengono diagnosticate a causa della difficoltà di accedere alle strutture oculistiche di primo livello presenti sul territorio e deputate ad erogare le prestazioni basiche di screening” sottolinea Appolloni.
Purtroppo, le strutture sono poche e non riescono a soddisfare una domanda tanto importante. Di conseguenza, tra l’esordio dei primi sintomi e la diagnosi intercorrono a volte molti anni.
Il ritardo diagnostico e, quindi, terapeutico, comporta un danno fotorecettoriale grave che non si può in alcun modo recuperare.
Altre due criticità riguardano proprio le terapie intravitreali
“In primo luogo, i Centri Specialistici che erogano queste terapie sono molto pochi, in quanto la somministrazione dei farmaci anti VEGF (dall’inglese Vascular Endothelial Growth Factor, in italiano “fattore di crescita dell’endotelio vascolare), richiede una forte organizzazione della struttura e personale formato e dedicato per far fronte alla forte richiesta dei pazienti che devono essere anche registrati; il secondo ostacolo è rappresentato dalla scelta del farmaco”.
“Oggi noi oculisti siamo di fatto obbligati dalla Nota 98 di AIFA a eseguire la terapia con un farmaco (bevacizumab) anti VEGF off label, per la degenerazione maculare senile essudativa e per la retinopatia diabetica essudativa nei soggetti che vedono più di 5 decimi, che prevede un numero molto elevato di iniezioni intravitreali da eseguire per riuscire ad ottenere gli stessi risultati di farmaci di nuova generazione, peraltro più costosi, che prevedono però un numero minore di iniezioni. Il nodo della questione è che AIFA ci obbliga ad usare bevacizumab, ma al tempo stesso autorizza e rende rimborsabili nuovi farmaci più efficaci e che necessitano di un minor numero di iniezioni. Questa palese contraddizione rende ancora più difficile per i Centri soddisfare le esigenze dei pazienti. Siamo obbligati a usare il farmaco meno costoso in prima linea e poi, qualora la terapia non sia efficace, passare ai farmaci innovativi quando i danni sono già molto gravi e irreversibili”.
Altra criticità è il setting: da noi la terapia intravitreale si fa solo in sala operatoria mentre si potrebbe effettuare in ambienti ambulatoriali protetti e sterili, lasciando libere le sale operatorie per le prestazioni chirurgiche maggiori.