Caro diario, dopo sedici anni e tanti chilometri…

20 aprile 2017, Otres Beach, Cambogia: Memories…. È cominciato tutto sedici anni fa, proprio dopo le feste di Natale, in cui, come vuole la tradizione dalle mie parti, ci avevo dato dentro con cappelletti e mascarpone.

Avevo appena compiuto 11 anni, la scuola era ricominciata da poco, facevo ginnastica artistica a livello dilettantistico e un senso di costante debolezza aveva spinto i miei genitori a farmi fare le analisi del sangue. Intanto stavo anche dimagrendo e, per evitare di scendere sotto a quei pochi quaranta chili che ero, la mamma mi preparava banchetti degni di una regina.

Un fulmine a ciel sereno

Un giorno torno da scuola contenta perché so che il martedì è il giorno dei passatelli a pranzo dalla nonna con tutta la famiglia. E invece appena messo piede in casa ci sono i miei ad aspettarmi con una borsa da cui spunta lo spazzolino.
Dove andiamo?”, chiedo io curiosissima.
Dobbiamo andare in ospedale, ci hanno chiamati perché c’è un valore che non va bene nelle tue analisi“.
Beh, mangiamo e andiamo” propongo io che ho l’acquolina in bocca da un pezzo.
No tesoro, devi essere a digiuno“.

Ecco infranto il sogno in cui stavo vivendo da ormai qualche mese: cibo a volontà senza effetti negativi per il mio corpo. Si ritorna alla realtà e quei passatelli fumanti che non ho potuto mangiare li sognerò per tutti i tre giorni di flebo e poi per quelli di ricovero, a base di triste cibo ospedaliero.

Dopo che le infermiere mi sistemano in una bella stanzetta tutta per me arriva un medico dall’aria simpatica. Mi fa sentire in qualche modo speciale perché mi spiega che la mia emoglobina glicosilata, anziché essere attorno al 6%, è 14,4%, più del doppio! Io ne sono fiera e me ne vanterò con gli amici.

Quel valore, però, porta con sé una inequivocabile diagnosi: diabete di tipo 1. Il dottore e la sua équipe mi spiegano tutte le regole del gioco con una serie di slide che proiettano nella mia stanza d’ospedale: reflettometro, ipoglicemia, zuccheri, iperglicemia, insulina, iniezione.

“Per tutta la vita.” Forse è questa, tra tutte, la frase più difficile da mandare giù

La prima puntura me la faccio da sola nella pancia con le vecchie siringhe dal cappuccio arancione; i miei genitori mi guardano impressionati e allo stesso tempo spaventati; il dottore sorride per farci capire che in fondo si tratta di “poco” più di questo.
Mia mamma, che fino ad allora aveva preso la situazione di petto, si lascia andare ad un momento di debolezza e tra le lacrime sussurra: “Ma perché proprio a te?“.
Si vede che a qualcuno doveva venire e io sono forte”, la tranquillizzo.
Quella sicurezza verrà poi meno in qualche occasione nei 16 anni a venire: quando nei primi tempi faccio fatica a pronunciare la parola ‘diabete‘ perché mi sembra brutta e dolorosa, quando da adolescente decido che non voglio più dipendere dall’insulina, quando durante gli allenamenti di ginnastica artistica, ogni 30 minuti, devo correre nello spogliatoio a misurare la glicemia e non ne avrei voglia.

Mi ha aiutato tantissimo, però, il fatto che la mia famiglia non mi trattasse in maniera diversa e anzi mostrasse da subito piena fiducia nelle mie capacità di autogestione: nell’estate che ha seguito l’esordio sono stata per due settimane in Inghilterra con una vacanza-studio organizzata e ho fatto un’infinità di campi scout. Tra tenda, serate attorno al fuoco e zecche mi divertivo un mondo e, grazie al mio diabete tipo 1, godevo del privilegio di entrare in cambusa a provare la glicemia e mangiare qualche biscotto o caramella in più degli altri.

Nel 2007 ho scoperto il microinfusore e ho subito voluto sperimentarlo. Lo tenevo in bella vista e le domande bizzarre si sprecavano:

È un contapassi?”
È il computerino per mandare gli ordini alla cucina del ristorante?”
Ci registri le lezioni?”.
Durante l’università ho studiato per dieci mesi a Lisbona, Portogallo, per un semestre a Sydney, Australia, e ho concluso con un tirocinio in Nuovo Messico, Usa.
Ed ora eccomi qui, su una spiaggia incantevole della costa cambogiana dove qualche giorno di relax mi scatena pensieri e ricordi.

Sono arrivata qui partendo da casa in bicicletta lo scorso 10 giugno con un frigo pieno di insulina sul portapacchi. Viaggio con Riccardo, il mio ragazzo, grazie al quale il diabete è diventato un affare non più solo mio: se ho la glicemia bassa ci fermiamo entrambi, se ho una iperglicemia tutti e due ci mettiamo a pedalare più intensamente per abbattere quell’eccesso di zuccheri nel modo che ci piace di più, con l’esercizio fisico. Ecco allora che sono diventata responsabile del “nostro” diabete e sono stimolata a fare sempre meglio per entrambi.

Prima di partire eravamo elettrizzati e sognanti, ma anche preoccupati perché il viaggio in bicicletta può riservare infiniti imprevisti.
E se non troveremo un freezer?”
Se pioverà per giorni interi?”
Se ci rubassero l’insulina?”.

Le ragioni per cui preoccuparsi erano sicuramente tante e le risposte da dare alle nostre famiglie in ansia erano vacillanti. Poi siamo partiti e tutto si è rivelato alla nostra portata. Nessuna salita è stata così ripida da farci tornare sui nostri passi e nessuno hai mai tentato di derubarci, anzi, ci siamo accorti che il mondo è pieno di persone altruiste.

Oggi il diabete è qualcosa di cui voglio parlare

Voglio che si sappia che il diabete di tipo 1 non è la malattia del nonno che fa una vita sedentaria, non è la malattia che viene quando sia mangiano troppi dolci, né quella che ti vieta di addentare un bombolone.

Col calcolo dei carboidrati siamo usciti dai rigidi schemi di quattro unità a colazione, sette a pranzo e sei a cena (tre se c’è il pesce) che seguivamo ciecamente come comandamenti del dottore. Oggi è possibile adattare la terapia agli stili di vita più stravaganti e a cucine diverse, senza lasciare che sia la terapia a dettare le regole.

Gli strumenti tecnologici per la cura del diabete di tipo 1, poi, sono progrediti al punto da offrire un monitoraggio continuo della glicemia al prezzo di un impercettibile sensore sottocutaneo da applicare ogni sei giorni.

Nonostante il viaggio e l’attività fisica riservino variabili nuove ogni giorno, posso affermare che oggi la mia convivenza col diabete è assolutamente pacifica. Mi auguro che For a Piece of Cake possa raggiungere con un messaggio di conforto tutte le famiglie che hanno a che fare col diabete di tipo 1. Dire loro che poi la nonna di passatelli me ne fatti una valanga e che col DT1 si può andare fino in Cambogia in bicicletta e oltre.

 

Vi piacerebbe appendere o regalare un poster con una delle foto di questo appassionante viaggio?

Dall’inizio di marzo 2017, è on line il nuovo negozio di poster: “For a piece of cake: da Cesena a Singapore in bicicletta con il diabete di tipo 1”
Lo trovate a questo link https://www.facebook.com/forapieceofcake/
Provate a dare un’occhiata: ci troverete una piccola selezione delle foto preferite di Chiara e Riccardo (lo sapete che Riccardo Rocchi è un fotografo professionista, (non per nulla le foto sono così belle!!), trasformate in stupendi poster 50×75 cm dallo studio Minimum di Palermo e spediti ovunque siate.

Una bella idea per supportare i vostri cicloturisti preferiti e arredare il vostro studio o la vostra cucina, o entrambi con un’immagine affascinante. Spargete la voce e grazie mille!

Tutte le foto sono di proprietà di Riccardo Rocchi, fotografo, For a piece of cake©. Il loro utilizzo è subordinato ad una sua approvazione scritta.

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