Night market e frutta fresca: Myanmar, benvenuti nel Sud-Est Asiatico

Allo scattare del settimo mese dalla partenza, suonati i 9500 km, prendiamo un aereo – anzi tre per l’esattezza – che ci portano da Guwahati, India, fino a Mandalay, la bellissima città birmana sede del famoso Palazzo Reale.
Aspetta aspetta, un aereo?

La scommessa del confine tra India e Birmania

Ebbene si, il confine di Tamu-Moreh tra India e Birmania è da sempre una scommessa per i viaggiatori via terra, a volte è aperto, a volte chiuso, altre volte percorribile in un solo senso. Al nostro passaggio è aperto, ma la regione indiana del Manipur, dove si trova il valico di frontiera, sta vivendo un momento di grossa instabilità socio-politica, con tanto di barricate sulle due arterie stradali che la collegano al resto del Paese. Per quanto sia una scocciatura e in qualche modo una sconfitta quella di imbarcarci con le biciclette su un aeroplano e saltare d’un fiato mille chilometri, decidiamo che è la soluzione che ci rende più sereni.

A Mandalay ci raggiunge Luca, un amico di Cesena che suderà con noi per più di mille chilometri sul sellino. Ci porta due salami italianissimi e una bella forma di grana. Neanche a dirlo appena atterrati allestiamo un banchetto da fare invidia a mezzo aeroporto.

Un’accoglienza incredibile e disarmante

La Birmania – o Myanmar, secondo il nome imposto dopo il colpo di Stato del 1988 – ci accoglie in maniera incredibile. Il suo popolo, dopo anni di isolamento dal resto mondo, è capace di un calore disarmante. I sorrisi e saluti che riceviamo ovunque, l’aiuto e le domande curiose ci fanno sentire davvero i benvenuti in questo paese che da poco è uscito da una pesante dittatura militare. Mandalay, Bagan, Yangon e Mawlamyine sono solo alcune delle magiche città ricche di storia e di sacralità del Myanmar, ma noi attraversiamo anche le piccole Myaydo, Yanangyaung, Thaton e molte altre, scoprendo i paradisi naturali remoti, i buddha e gli stupa di tutti i chilometri che le separano.

Grossi fiumi sono i nostri fedeli compagni nelle pedalate birmane: l’Irrawaddy, il Pathein, il Saluen ci hanno deliziati con pacifici scenari di vita fluviale, con ponti grandiosi, con minuscole zattere intente alla pesca e con tramonti rossi a specchio. Per goderci un po’ di pesce, però, preferiamo aspettare di raggiungere il mare.

La cucina birmana non offre molta varietà ma è amica del diabete

La carne, principalmente di pollo, è molto costosa se confrontata con gli altri piatti. Verdura, noodles e riso vanno decisamente per la maggiore, spesso serviti insieme a una ciotola di brodo vegetale. Questi alimenti, seppur causa di monotonia alimentare già dopo pochi giorni, vanno tutti piuttosto d’accordo con le mie glicemie.

Ci fermiamo sempre a mangiare in ristoranti molto semplici, più per necessità che per scelta, oppure in tea house dove ogni tavolino ha un thermos di tè caldo e piccole tazzine in cui servirsi la bevanda in attesa del cibo. Le cucine che troviamo, purtroppo, hanno standard igienici molto discutibili e raramente dispongono di un menù in inglese. La comunicazione è difficile quando si tratta di cibo e ci troviamo a fare scenette ridicole per mimare il pollo, le uova ben cotte o le verdure saltate in padella. Dopo alcuni giorni ci muniamo di poche ma chiarissime traduzioni birmane dei piatti più semplici e diffusi: verdure fritte con riso bianco, noodles con verdure, pollo con anacardi, omelette. Nella nostra dieta queste poche ricette sono poi intervallate, quando raggiungiamo città più turistiche, da altre specialità tipiche, come il pollo in succo di limone e le verdure condite con spezie e aromi vari.

Quando è possibile ceniamo nei night market, una tipicità tutta asiatica, in cui si trova davvero di tutto: qualsiasi parte di qualsivoglia animale, zuppe dai colori più improbabili, dolci fosforescenti e gelatinosi. Forse sacrificando piacevoli sorprese, noi optiamo di solito per le cose più semplici e riconoscibili a colpo d’occhio: spiedini di carne, patate e verdure, noodles, pollo allo spiedo.

La frittura dei cibi è purtroppo diffusissima e non sappiamo mai se l’olio utilizzato è di buona qualità e nuovo o utilizzato più volte. Cerchiamo quindi di evitare questi alimenti ogni volta che è possibile, facendo l’unica eccezione per le irresistibili banane fritte (di quelle ci ingozziamo!).

Le mie glicemie reagiscono tendenzialmente bene alla cucina birmana, ciò che invece mi dà più scompensi è la prima colazione. Di solito le guest house in cui alloggiamo, infatti, forniscono la prima colazione, con la possibilità di scegliere tra quella birmana (fried rice e uovo) e quella occidentale (un frutto, pane in cassetta, burro, marmellata e uovo). Io non ho nessuna voglia di cominciare la giornata a base di riso fritto e quindi mangio almeno tre fette di pane con la marmellata di fragole dolcissima che spopola in Myanmar, una banana e una tazza di caffè pre-miscelato con zucchero e creamer. Inutile dire che dopo dieci minuti la glicemia schizza alle stelle, mentre io sto ancora cercando di infilare tutto nelle borse per ripartire. È servito anticipare di una decina di minuti abbondante il bolo di insulina rispetto alla colazione, ma comunque per buona parte della mattinata il livello di zuccheri resta piuttosto alto.

Una lunga sosta di relax e la crisi di astinenza da pedalata

Un altro momento complicato per la gestione del diabete è l’arrivo all’incantevole spiaggia di Ngwe Saung, dove incateniamo le biciclette per cinque lunghi giorni di tintarelle e bagni freschi.

In questa pausa dalla bici, complici le ricche colazioni in hotel, la mia glicemia sembra quasi indifferente ai boli di insulina. Anche lunghe passeggiate in spiaggia non sono molto efficaci per ritrovare valori ottimali ed è come se il mio metabolismo chiedesse la solita pedalata intensa a cui l’ho abituato negli ultimi mesi.

Verso l’ora del tramonto, quando la marea si ritira e lascia decine e decine di metri di sabbia compatta, proviamo allora ad inforcare le bici per andare alla scoperta della lunghissima spiaggia che si estende verso Sud, progressivamente sempre più selvaggia. Le cene a base di pesce appena pescato, poi, mi aiutano ad andare a letto con un migliore controllo sulla glicemia.

Frutta tropicale, caldo e… avaria delle striscette

In Myanmar cominciamo finalmente a trovare la frutta tropicale: mango, ananas, papaya, frutto del drago, cocco, bananine dolci e molta altra – di cui non sappiamo i nomi – si trovano nelle bancarelle a lato della strada. Al pomeriggio, andiamo spesso a fare la spesa al mercato locale insieme alle signore birmane e poi ci godiamo la merenda a base di frutta fresca e dolcissima. Devo fare boli consistenti per controllare la glicemia con tutto il fruttosio che contiene, ma comunque la quantità di insulina che utilizzo rimane bassa: circa 30 unità giornaliere rispetto alle 45 di casa, a fronte dei miei 60 kg di peso.

In Myanmar, a metà gennaio le giornate cominciano a essere già davvero calde e noi spostiamo la sveglia sempre più indietro nel tentativo di concludere le tappe prima di mezzogiorno. Non sempre ci riusciamo e questo comporta lunghissime pause pranzo in attesa che l’afa si smorzi. Deve essere successo proprio in una di queste pause che una borsa sia rimasta inavvertitamente sotto al sole, perché presto scopro che molte delle striscette reattive per misurare la glicemia non assorbono più correttamente il sangue, in pratica non lo recapitano al reflettometro. Prima di partire, come già molte volte in passato, avevo “stipato” a cuor leggero il contenuto delle scatoline di strisce per ridurre il volume necessario a un anno di misurazioni. Probabilmente, l’eccessiva densità e i 40°C misurati dal nostro termometro a mercurio dentro a una borsa hanno causato l’avaria del materiale. La lezione è sicuramente memorizzata per il prossimo viaggio, ma intanto riesco a ricevere, con l’aiuto delle aziende produttrici, qualche nuova scatola di striscette che mi copra fino a Singapore.
Il Myanmar è la nostra porta di accesso al Sud-Est Asiatico, una regione complessa e meravigliosa che con la sua umanità e il suo splendore ci accompagnerà fino alla meta: Singapore.

Vi piacerebbe appendere o regalare un poster con una delle foto di questo appassionante viaggio?

Dall’inizio di marzo 2017, è on line il nuovo negozio di poster: “For a piece of cake: da Cesena a Singapore in bicicletta con il diabete di tipo 1”
Lo trovate a questo link https://www.facebook.com/forapieceofcake/
Provate a dare un’occhiata: ci troverete una piccola selezione delle foto preferite di Chiara e Riccardo (lo sapete che Riccardo Rocchi è un fotografo professionista, (non per nulla le foto sono così belle!!), trasformate in stupendi poster 50×75 cm dallo studio Minimum di Palermo e spediti ovunque siate.

Una bella idea per supportare i vostri cicloturisti preferiti e arredare il vostro studio o la vostra cucina, o entrambi con un’immagine affascinante. Spargete la voce e grazie mille!

Tutte le foto sono di proprietà di Riccardo Rocchi, fotografo, For a piece of cake©. Il loro utilizzo è subordinato ad una sua approvazione scritta.

Potrebbero interessarti