Nepal: stupore, tante salite e poca insulina

È il 4 dicembre e io e Riccardo stiamo varcando il confine nepalese dopo quasi un mese di India che ha messo a dura prova i nostri nervi. L’eccitazione è un stato che ci accompagna ad ogni frontiera, curiosi come siamo di scoprire usi, costumi e tradizioni di un nuovo popolo. Sul Nepal, poi, abbiamo aspettative elevate per i racconti che da sempre ci hanno fatto gli amici viaggiatori: “Montagne bellissime e cieli limpidi… Trekking avventurosi lontani dalla civiltà… Magica Kathmandù…”

Finalmente in Nepal: al di là del confine, un altro mondo!

Passaporti alla mano, varchiamo quel confine su cui da giorni fantastichiamo: “Ti immagini se dalla frontiera in poi sparisce di colpo la nebbia?”.
No, la nebbia non si dissolve come per magia, ma tutto diventa improvvisamente più calmo e ordinato in Nepal. Sulla strada vengono rispettate le regole di guida, cessa lo strombazzare continuo dei clacson e le persone iniziano da subito a salutarci. Ci fermiamo per il pranzo e Riccardo fa per chiudere le bici col lucchetto quando un nepalese, con tono rassicurante, lo ferma: “Non serve. Qui siete in Nepal, non più in India!”
Mi risulta tuttora difficile credere che una semplice linea di natura politico-amministrativa, un segno definito sulla carta, abbia il potere di cambiare così drasticamente le nostre giornate in viaggio, ma quella linea incarna senza dubbio una diversità culturale molto profonda. Ad esempio, ho da subito la percezione che la donna abbia una vita sociale più attiva rispetto agli ultimi Paesi attraversati: Iran, Emirati, Oman e India. Vediamo ragazze per la strada, notiamo giovani coppiette, incontriamo gruppi misti senza che necessariamente sussistano legami di parentela tra i componenti. Quando ci fermiamo per pranzo o per una merenda non sono più l’unica ragazza del locale e posso tirare un respiro di sollievo dopo mesi di occhi puntati addosso.

Il Nepal è suddiviso in tre regioni naturali

Noi entriamo da Sud, nella pianura del Terai, nebbiosa e umida in inverno, caratterizzata da praterie paludose e foreste tropicali, un paradiso per gli insetti, insomma. La natura, da subito, ci sbalordisce con colori intensi.
Dal Terai ci spostiamo gradualmente verso Nord-Est per raggiungere la zona degli altopiani e la valle di Kathmandu.
Non appena superiamo i 500 m di altezza la nebbia lascia il posto al cielo limpido, con un sole che ci asciuga in un baleno i vestiti sudati.
I due giorni che impieghiamo a svalicare le montagne che ci dividono dalla capitale sono tra i più belli ma anche difficili, sin dalla partenza: lasciamo Hetauda che sta albeggiando e iniziamo gli interminabili 60 km di salita sulla Tribhuvan Highway che ci porteranno in vetta, a 2300 m di altezza. Vista dalla cartina, questa strada è un susseguirsi pauroso di spigoli che incontrano curve di livello fittissime. E’ una gara contro il tempo perché le ore di luce a nostra disposizione non sono molte e in quota le temperature crollano drasticamente al calar del sole.

La gestione del diabete di tipo 1 per arrivare a una delle meraviglie del mondo

Per scongiurare che le ipoglicemie mi interrompano di frequente, faccio scorta di biscotti, zucchero e snack da assumere ogni 30 minuti circa e cerco di assestarmi attorno a valori medio-alti (150-160 mg/dl). La fatica, però, è così tanta che le mie precauzioni non bastano e dobbiamo fare una pausa-ipo in cui mangio pane e miele, una buona ed efficace miscela di carboidrati a lento e rapido assorbimento.
Attorno alle 15 siamo davvero stanchi, le gambe sono indurite dallo sforzo continuo e il sole inizia ad abbassarsi rapidamente, ma la quota già acquisita e lo scenario mozzafiato che ci circonda ci danno la carica per continuare. Alle 16:15 siamo in vetta, stremati ma euforici e ci godiamo lo spettacolo della catena dell’Himalaya che improvvisamente troneggia davanti a noi e si tinge di rosa per il tramonto ormai prossimo. Ecco laggiù, la terza regione naturale del Nepal, quella delle montagne, con picchi che superano gli 8000 m e con la natura come protagonista indiscussa. Scendiamo per qualche chilometro fino al piccolo villaggio di Daman, tremanti di freddo: la temperatura sta scendendo e il sudore ci si è ghiacciato addosso.

Troviamo una piccola guest house dove passare la notte (con -5°C esterni) e preghiamo i proprietari di bollire un bel pentolone d’acqua per lavarci: quassù di doccia calda non se ne parla. Per la notte imposto l’insulina basale al 60% della quantità solita, perché tutta l’attività fisica fatta continuerà ad abbassarmi la glicemia per diverse ore. Nell’intera giornata mi sono somministrata 15 unità di insulina in tutto, metà delle 30 unità medie del viaggio e un terzo delle 45/50 di casa. Il mattino successivo le luci dell’alba sulle vette dell’Himalaya ricaricano le nostre batterie e ancora non sappiamo che la lunghissima discesa verso la valle di Kathmandu si insinuerà tra incredibili versanti terrazzati con colori e personaggi unici.

La valle di Katmandu

Al nostro passaggio non c’è nepalese che neghi un sorriso o un cenno con la mano, seppure spesso siano intenti a trasportare carichi pesanti con ceste di vimini in equilibrio sulla schiena e ancorate sulla fronte.
Kathmandu ci lascia ammaliati per il suo fascino caotico e la sua sacralità. Ad ogni angolo sorge un tempio o uno stupa addobbato di offerte: collane, fiori, cibi, bibite, preghiere e candele donano alla città un’atmosfera mistica che si sposa in maniera unica con le sue viuzze brulicanti di persone e attività.
Purtroppo il terremoto del 2015 ha distrutto larga parte delle architetture religiose di Durbar Square, Patan e Bhaktapur, tantissimi edifici privati e provocato migliaia di vittime; le ferite sono ancora aperte e i puntellamenti che tengono in piedi la città sembrano sostenere, oltre che un peso fisico, la memoria storica.

Un trekking nella valle dell’Helambu … con sorpresa finale

Lasciate le bici e la scorta di insulina a Kathmandu, decidiamo di svagarci dal sellino facendo un trekking di cinque giorni nella vicina valle dell’Helambu. I piccoli villaggi di montagna dove la vita scorre lentissima, scandita dalla posizione del sole e dal lavoro dei campi, ci regalano delle giornate memorabili e panorami mozzafiato. Quassù, mi accorgo che la camminata ha un impatto meno netto della pedalata sulla mia glicemia, probabilmente perché lo zaino in spalla non consente velocità elevate e i ritmi sono meno serrati rispetto alle nostre giornate abituali.

Pernottiamo spesso in baracche di lamiera sprovviste di qualsiasi comfort e, quando alle 18:00 la corrente elettrica viene meno, mi arrangio come meglio posso tra le misurazioni della glicemia e la sostituzione del set per il microinfusore.

Il piatto icona di questa gita tra le montagne nepalesi è sicuramente il dal bhat, dove “dal” indica la zuppa di lenticchie e “bhat” il riso (a volte condito col burro), serviti in un piattone metallico insieme a varie verdure speziate, fritte o bollite, diverse in base alla reperibilità locale. La zuppa aiuta a scaldarsi in queste rigide temperature invernali e la tradizione vuole che il piatto venga rimpinguato anche più volte di tutti i vari componenti finché non si arriva a sazietà. La mia glicemia risponde piuttosto bene al dal bhat, che contiene solo i carboidrati del riso ed eventualmente delle patate.

Un’altra pietanza originaria di Nepal e Tibet è il momo, una specie di raviolo fatto con farina d’orzo, cotto al vapore o più raramente fritto e ripieno di carne speziata (di pollo o bufalo d’acqua), patate o verdure. Una porzione costa di solito meno di un euro ed è composta da dieci momo e una salsa che può andare dall’agrodolce al piccantissimo. Ne mangiamo in quantità, anche perché vagamente ci ricorda l’amata pasta ripiena di casa.

Qui in Nepal, poi, comincia la costante del fried rice o noodles che ci accompagnerà per tutto il Sud-Est asiatico, giù fino a Singapore, con le sue varianti più o meno speziate, carnivore, piccanti.
Di ritorno a Kathmandù scopriamo che il frigo dove avevamo depositato l’insulina tra mille raccomandazioni è staccato dalla corrente in favore di un cellulare! Per fortuna le temperature invernali sono piuttosto rigide e le medicine non sembrano danneggiate.
Forse una salsa di accompagnamento ai momo contenente uova crude o forse le basse condizioni igieniche delle cucine della capitale ci inchiodano entrambi al letto per tre giorni con una potente infezione da salmonella: tirando avanti a riso bianco, verdure bollite e sali reintegratori le mie glicemie sono le più stabili di sempre.

È già ora di continuare il viaggio

Il 23 Dicembre 2016, lasciamo definitivamente Kathmandu e ci avviamo in direzione Sud-Est, dove ci attendono tornanti a non finire e villaggi autentici, in cui un turista che non viaggia in bicicletta non avrebbe ragione di fermarsi. Va da sé che siamo sempre accolti come ospiti d’onore e serviti con un occhio di riguardo. Per il pranzo di Natale ordiniamo momo con ripieno di zucca immaginando che siano i cappelletti ai formaggi della nonna e alla vigilia di capodanno affoghiamo nel dal bhat perché tradizione vuole che le lenticchie siano di buon auspicio.
Poi lasciamo il Nepal portandoci via il ricordo di gente calorosissima, “di montagne bellissime e cieli limpidi, di trekking avventurosi lontani dalla civiltà e di una Kathmandu magica”.

 

Vi piacerebbe appendere o regalare un poster di #ForAPieceOfCake con una delle foto di questo appassionante viaggio?

Dall’inizio di marzo 2017, è on line il nuovo negozio di poster: “For a piece of cake: da Cesena a Singapore in bicicletta con il diabete di tipo 1” Lo trovate a questo link https://www.facebook.com/forapieceofcake/. Provate a dare un’occhiata: ci troverete una piccola selezione delle foto preferite di Chiara e Riccardo (lo sapete che Riccardo Rocchi è un fotografo professionista, (non per nulla le foto sono così belle!!), trasformate in stupendi poster 50×75 cm dallo studio Minimum di Palermo e spediti ovunque siate.

Una bella idea per supportare i vostri cicloturisti preferiti e arredare il vostro studio o la vostra cucina, o entrambi con un’immagine affascinante. Spargete la voce e grazie mille!

Tutte le foto sono di proprietà di Riccardo Rocchi, fotografo, For a piece of cake©. Il loro utilizzo è subordinato ad una sua approvazione scritta.

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