IL VIAGGIO DI CLAUDIO CON IL DIABETE DI TIPO 1. UN MODO PER CONOSCERSI E METTERSI ALLA PROVA
Il Sudamerica era un territorio completamente nuovo nelle mie corde. Mai ero stato in questa parte del mondo. Non so perché, in realtà sempre mi aveva attirato. La vita alla fine è fatta anche di opportunità e questo giro del mondo senza aerei è stata quella che andavo ricercando per scoprire questa zona.
Ecuador, Perù, Bolivia e Colombia
La prima considerazione è che si tratta di un territorio meraviglioso. La natura in primis è preponderante in tutte le sue forme. Finora ho attraversato Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia. Lo stato simbolo per la sua natura è, a mio avviso, l’Ecuador. Questo piccolo stato a cavallo della linea equatoriale è proprio ciò che uno non si aspetta. Grazie alla sua morfologia è uno dei territori più vari e complessi mai visitati. Si passa dai grandi altopiani a Nord per poi finire nella giungla. I deserti sulla costa pacifica si diradano andando verso l’entroterra e divengono boschi lussureggianti. Cascate, laghi e fiumi maestosi. Gole impressionanti. E poi vulcani, la neve a colorarne le cime a circa 6000 metri. Il tutto dove non esistono stagioni vere e proprie e dove le ore di luce e oscurità si equivalgono.
Questa è la natura ecuadoregna, ma non solo. Il Perù a Nord è arido e deserto, a est è giungla praticamente amazzonica, mentre a sud, nelle Ande, è semplicemente il Perù, quello che ti aspetti. Montagne altissime, lussureggianti, gente amabile, lama a colorare i monti.
La Bolivia è povera, non esistono praticamente strade asfaltate, si mangia malissimo, ma la natura e le persone compensano ampiamente questi disagi.
La Colombia, la mia personale porta di accesso al Sudamerica è la salsa e le sue città, i suoi ritmi e le sue persone, così amabili, gentili e sorridenti.
Il diabete: messo alla prova da un’infezione virale e dall’altitudine prolungata
Tre mesi sono già trascorsi in questo angolo del mondo. Il mio compagno di viaggio, il diabete di tipo 1, si è ormai abituato ai continui cambiamenti di clima e di cibo. Qui, tuttavia, ha dovuto fronteggiare alcune nuove variabili fino ad oggi non ancora affrontate. Innanzitutto una brutta infezione, la Dengue, contratta nella giungla nel nord della Colombia. È la prima volta che sto male in questi 20 mesi itineranti e in questo caso proprio il diabete è stato il campanello d’allarme che mi ha permesso di capire che qualcosa non andava nel mio corpo. Glicemie costantemente alte senza apparente motivo.
Unite a circa 18 ore con febbre sempre oltre i 39 gradi mi hanno indotto ad andare in ospedale ad effettuare alcune analisi che hanno poi sentenziato l’esistenza del virus nel mio corpo. Il decorso è stato poi molto tranquillo, privo di particolari problemi, sebbene con una curva glicemica particolarmente elevata.
La seconda importante variabile è stata l’altitudine. Già mi ero trovato ad altezze elevate nel mio viaggio, ad esempio sull’Everest base camp a 5600 metri oppure sul vulcano Acatenango in Guatemala a quasi 4000, ma mai per così tanto tempo.
Tra Cusco in Perù, dove ho deciso di fermarmi alcune settimane per lavorare e imparare lo spagnolo, e La Paz in Bolivia, attraverso il lago Titicaca, il più alto navigabile al mondo, ho trascorso oltre un mese tra i 3500 e i 4200 metri.
Nulla di che in realtà a parte il fiato corto e alcuni controlli in più. A darmi una mano la cucina peruviana, decisamente la migliore per il diabete fin qui provata nel mondo. Frutta, verdura, pesce, carni bianche, zuppe, la yucca. Tutti alimenti che, perfettamente bilanciati, uniti a una costante attività fisica, mi hanno permesso di gestire il diabete in maniera ottimale.
Non si può dire altrettanto della Bolivia, stato il cui cibo è pessimo per gusto e qualità e in cui sto avendo non pochi problemi con glicemie ballerine. Purtroppo quasi tutto viene abbondantemente fritto e le verdure crude scarseggiano. Senza considerare che solo l’acqua è l’unica bevanda priva di zucchero.
Poco male, di fronte a me ora ho l’obiettivo di raggiungere la Patagonia prima di tornare a nord verso Argentina e Brasile. Da lì il continente più affascinante prima di tornare a casa: l’Africa.
Per chi volesse donare a Human Traction. Anche una piccola offerta può fare la differenza per loro, soprattutto dopo il dramma del Nepal. Alcune realtà fotografate da Claudio nel suo viaggio non esistono più. L’indirizzo per tutte le informazioni è il seguente: www.humantraction.org
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Tutte le foto riportate sono scattate e gentilmente concesse da Claudio Pelizzeni durante il suo viaggio senza aerei.