Diabete tipo 2 e aderenza terapeutica: perché un buon dialogo medico-paziente la favorisce?

Diabete tipo 2 e aderenza terapeutica: perché un buon dialogo medico-paziente la favorisce?

Qual è l’importanza del rapporto e del dialogo medico-paziente nel percorso di cura del diabete tipo 2, soprattutto per quanto riguarda la gestione del trattamento e di eventuali cambi di terapia? Ne parliamo con il professor Francesco Giorgino.

Il rapporto medico-paziente con diabete tipo 2

Ovviamente il rapporto medico-paziente è sempre fondamentale quando si tratta di situazioni di malattia acute che richiedono un approccio interpersonale particolare, come ad esempio prima di un intervento chirurgico, perché il paziente ha bisogno di sapere quali sono le opzioni di cura, i rischi e le eventuali sequele.
A maggior ragione il rapporto medico-paziente è fondamentale nelle patologie croniche e il diabete tipo 2 (la forma più diffusa di diabete) – così come l’obesità, che spesso è la causa o comunque lo accompagna – è purtroppo una malattia che non si risolve con un intervento di breve durata, anzi non si risolve mai anche quando l’intervento è efficace, poiché esso deve essere mantenuto nel tempo e per tutta la vita.

Condividere il percorso di cura

È chiaro che il paziente con diabete tipo 2 ha bisogno di condividere con il medico il percorso di cura, nel senso che va reso consapevole e anche motivato a seguire le indicazioni terapeutiche. Un paziente educato, competente ha molte più probabilità di aderire alla cura in modo virtuoso, con notevoli vantaggi per la gestione quotidiana del suo diabete.

Se poi la terapia deve essere rivista perché non funziona più e va modificata, il paziente si domanda il perché e chiede spiegazioni che ovviamente vanno fornite. Nel caso di farmaci che abbiano effetti collaterali più evidenti o prevedibili, il rapporto medico-paziente è fondamentale per evitare che il paziente di fronte a una nuova terapia che possa produrre eventi avversi, come per esempio nausea, vomito e diarrea che possono essere causati da farmaci incretino-mimetici [DPP4, dipeptidil peptidasi 4 e gli agonisti del recettore del GLP1 (GLP1-RA) ] si trovi da solo e non sappia come fare.

Il paziente con diabete tipo 2, quindi, ha bisogno di affidarsi con fiducia al diabetologo ed è importante che siano date tutte le informazioni per comunicare nel modo più semplice e chiaro i possibili rischi della terapia, in modo che se questi si dovessero verificare il paziente non sia tentato di abbandonarla. Il rapporto medico-paziente che non sia improntato alla completa fiducia può indurre ad abbandonare un’indicazione terapeutica e, quindi, portare a una minore aderenza. Concetto sul quale in questi ultimi anni noi diabetologi insistiamo molto.

Più aderenza alla terapia, più salute per i pazienti con diabete

Il fenomeno dell’aderenza non è nuovo nelle terapie croniche ma di recente sono stati pubblicati alcuni studi che hanno valutato l’aderenza alle terapie per il diabete: così come per altre patologie croniche che richiedono l’assunzione indefinita nel tempo di farmaci, si è scoperto che l’aderenza non è ottimale come dovrebbe essere. I pazienti tendono a non assumere le terapie quando hanno effetti collaterali o sperimentano qualche problema nell’assunzione.

In uno studio pubblicato dall’autorevole rivista scientifica Diabetes Care, l’aderenza alle diverse terapie del diabete è stata valutata misurando i composti chimici che i farmaci liberano nel corpo e che si ritrovano nelle urine. È stato dimostrato con certezza che alcune classi di farmaci vengono assunte più regolarmente, altre molto meno. Da questo, l’importanza di instaurare un buon rapporto sia con il diabetologo che con il proprio medico curante, basato sulla reciproca fiducia e sulla chiarezza delle informazioni.

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