TORINO. Qui da noi, in Piemonte c’è un detto: la fortuna è cieca, ma la iella (la sfiga) ci vede bene… dovremmo tenere questo detto sempre bene in mente e osservare quanti stanno peggio di noi, con compassione.
Lo faccio sovente e vivo meglio…
Il diabete di tipo 2 per me è stato un fulmine a ciel sereno! Un fulmine a ciel sereno perché, tra le tante fregature che la vita mi ha “donato”, quella del diabete non l’avevo proprio considerata.
Nemmeno un po’.
Ma, come per una cardiomiopatia dovuta all’ipertrofia cardiaca, preannunciata dalla morte prematura di padre, madre e l’unico fratello, anche il diabete, facendo capolino tra altri guai, si è dato da fare per ricordarmi la caducità dell’essere umano…
Ho vissuto una vita fuori del comune per vari motivi. Non certo banale o monotona, da impiegato (contro cui non ho nulla) che mi ha portato a vivere esperienze uniche, in campo sia civile sia militare ed oggi, a oltre sessant’anni, posso, parafrasando un libro di Pablo Neruda, sostenere “Confesso che ho vissuto”. Già.
Mi sono reso conto di poterlo affermare solo quando mi sono guardato dietro, alle spalle, senza rimorsi né rimpianti, onestamente, ben sapendo che la vita mi ha permesso di capire tanto. Attraverso tante avventure, alle persone che ho conosciuto, ad eventi che mi hanno segnano, amori andati o venuti (non necessariamente di esseri umani) capire le sfumature di cosa, in fondo, siamo e non solo.
Beh, per farla breve, come appunto scrisse Neruda, confesso che ho vissuto.
Il Diabete
E chi sapeva di averlo! Un maledetto giorno, avvertendo da tempo una “strana” sete e maggior necessità di urinare, parlandone con il medico di famiglia convenimmo di sottopormi a qualche analisi ematica, giusto per verificare…
Tutto nella norma o quasi e, comunque, “appena” visibile… Una vita piena di attività, un ritmo sostenuto, mille e più impegni, e chi più ne ha ne metta, “io il diabete? Ma quando mai…”.
Ma, un bel giorno, il corpo che ti parla sempre (eccome!) con un suo linguaggio, mi dice con un segnale forte che qualcosa non va bene.
Stavo per recarmi al lavoro per il turno di notte, quando, di colpo, le gambe non mi hanno più sorretto e, se non fosse stato per mia figlia prontissima nel prendermi al volo, sarei stramazzato a terra per un fottuto colpo di sciatica acuta.
Un dolore fortissimo che partiva dalla zona lombare fino raggiungere i piedi. Un dolore talmente forte da togliere il fiato, la motilità delle gambe.
Trasportato sul letto, per un lungo, interminabile attimo ho pensato che la vita mi avesse abbandonato talmente era intensa quella manifestazione dolorosa.
Colpo della strega lo chiamano. A me era parso più un colpo di machete.
Che dolore!
Li incominciò un calvario inimmaginabile: pastiglie varie, supposte, massaggi, creme, iniezioni, medicinali omeopatici… evvai….
A quel tempo non ero a conoscenza dell’interessamento del diabete borderline al mio corpo, ma di li a poco le cose sarebbero cambiate.
Pochi giorni dopo, ripresomi a stento, tornai al lavoro un po’ malconcio, zoppicando come un vecchio. Faticando riprendo la vita di sempre.
Squilla il telefono, ricordo ancora l’ora 12:35 : “corri, tuo fratello sta male…”. Misi in moto l’auto ma non feci una corsa contro il tempo…dentro, quella voce misteriosa che per tutta la vita mia ha parlato, urlava dicendo che non serviva correre. Così feci.
Salii le scale ed entrai nell’abitazione di mio fratello Remo.
C’era un caos inimmaginabile: polizia, croce rossa, medico legale, amici, mia moglie, la sua ex e chissà quanti altri.
Remo era morto di un I.M.A. con emopericardio tamponante rendendo l’anima a Dio un’ora prima.
A noi, era rimasto un corpo freddo e un mare di guai.
Due giorni dopo, il cardiologo aziendale mi convocava per dirmi che ero affetto da una ischemia cardiaca (che poi, dopo innumerevoli accertamenti, avrebbe assunto il nome di cardiomiopatia ipertrofica non ostruttiva).
E qui inizia l’avventura con il T’AI Chi Ch’Uan, il diabete, il benessere, voler vivere come tutti…in salute…
Qui iniziò una vera e propria rivoluzione del mio stile di vita.
N.F.