“Il diabete di tipo 1 è entrato nella mia vita nel gennaio del 2013!” dichiara Matteo. “È entrato dal frigo di casa perché continuavo a bere acqua e coca cola, acqua e coca cola, in tempi diversi ma in circostanze abbastanza simili: di notte oppure la mattina presto, o a pranzo o dopo pranzo, acqua e coca cola, acqua e cola. All’inizio non ci abbiamo dato peso ma continuavo in modo sempre più evidente finché mi sono reso conto che bevevo troppo e comunque la sete non si placava mai. Faccio un controllo delle urine e scopriamo che sono piene zeppe di glucosio. Ci fiondiamo in ospedale con mamma, papà e compagnia, prima eravamo andati da nonno dove avevamo comunque avuto la conferma perché il nonno ha il diabete tipo 2 e mi ha fatto misurare la glicemia con il glucometro: ben 333!! Un numero significativo per me, che non scorderò mai tanto che l’ho portato in teatro” (Vedi → 333: il diabete tipo 1 va a teatro, grazie al nuovo monologo di Matteo Porru).
Diabete: un esordio brusco che mi ha cambiato la vita
“Di corsa all’Ospedale di Cagliari dove mi ricoverano per una settimana – una settimana che – come chiunque abbia il diabete tipo 1 lo sa – ti cambia l’esistenza. In quella settimana, tu devi imparare a vivere in un modo completamente diverso, con altre priorità, altre necessità e soprattutto – una cosa fondamentale che ho imparato in quei sette giorni e che poi sto continuando a imparare perché non si smette mai – il corpo parla, parla sempre. Devi imparare a riconoscerne i segnali. Il corpo riesce anche se tu non ti misuri la glicemia, riesce ad anticipare, hai delle sensazioni corporee, a cui magari prima della diagnosi non facevi caso ma ci sono, lì devi intervenire. Il corpo parla e parla con un linguaggio che tra l’altro conosciamo benissimo solo che non ci fermiamo mai ad ascoltarlo”.
La cosa che mi ha insegnato tra le altre il diabete è ascoltare il mio corpo
“Il nostro corpo sa perfettamente cosa sta accadendo e ti riesce anche ad aiutare – se lo sai ascoltare. Se non lo sai ascoltare, chiaramente il corpo tira dritto. Devi riuscire a controllarlo, a imporgli una regola, un metodo. Malattie ne avevo già avute tante e il < >diabete</ > è stata un’altra mazzata… pure questa! Però aveva comunque un lato che in un certo senso mi attraeva. È una cosa abbastanza strana che non tutti capiscono… forse occorre provarla per poterla capire. Quando tu misuri la glicemia e hai 95, tu stai bene, provi un grande senso di soddisfazione. La glicemia è per antonomasia instabile e quindi il gioco, l’obiettivo, per chi ha il diabete, diventa stabilizzare, compensare la glicemia. Non sempre ci riesci anzi molto spesso ci sono momenti in cui perdi e vai o troppo su o troppo giù ma sono sempre momenti in cui impari a prendere le misure … Io sono convinto che da ogni caduta si possa imparare molto (“io non perdo mai o vinco o imparo”): nel diabete tipo 1 non si perde mai ma si impara tanto e si impara ogni giorno – se si è disposti a farlo – perché il diabete ha tante variabili e chi è diabetico lo sa: varia con l’umore, varia con la giornata, con il clima, varia con una quantità impressionante di fattori e condizioni. A volte ti bastano 3 unità di insulina per far fuori una colazione, un giorno te ne servono otto. Non c’è una regola fissa nel diabete, altro elemento che un po’ destabilizza, soprattutto all’inizio, però puoi sempre fare un tentativo per inquadrarlo, per tenerlo sotto controllo, per esempio con il calcolo dei carboidrati (conta-CHO), il tipo di insulina che fai, i tempi che ti dai, hai sempre l’opportunità di mettere in questo caos generale una regola e le regole aiutano molto ed è una cosa che impari man mano. Serve attenzione quotidiana, serve attenzione nei tempi, sapere che l’insulina non entra appena te la inietti, inizia a entrare, si è vero, ma è dopo quaranta minuti che inizia a spingere, e quindi hai quel lasso di tempo, devi controllare quanto hai di glicemia; è fondamentale nel diabete il concetto di proseguo, dove sarà la glicemia tra tot, in che modo posso agire adesso perché possa arrivare lì con quelle condizioni. C’è questa prospettiva ed è proprio questa che ci aiuta in una gestione consapevole della malattia. In più, va segnalato anche che quando ho iniziato io c’era l’insulina e il pungidito e basta. La tecnologia, meno male, è andata avanti per cui adesso abbiamo strumenti meravigliosi che ci aiutano molto di più nella gestione quotidiana del diabete. La tecnologia ti aiuta a prenderti cura della malattia, che nel caso del diabete tipo 1 equivale a prendersi cura anche del tuo corpo, delle tue abitudini, della tua quotidianità e questa è un’altra cosa che ti insegna il diabete. Non arrivare mai al punto di rottura, prevenire, adattare e – soprattutto, una cosa fondamentale – avere testa: analizzare, vedere che cosa è meglio fare, intervenire quando è giusto farlo, e poi la glicata ripaga”.
Come riesci a gestire il diabete nella tua vita frenetica?
“Io ho effettivamente una vita frenetica, da Speedy Gonzales come mi chiamano alcuni amici. Non è facile, nel senso che il diabete tra le altre cose richiede stabilità. Io viaggio moltissimo, molto per l’Italia ma anche parecchio in Europa, soprattutto in Germania e non è facile. Inutile fare i supereroi, non è affatto facile ma si può fare. Non è facile perché cambi alimentazione di continuo, mangiare spesso fuori complica la gestione dei carboidrati e dell’insulina però c’è sempre una costante, cioè trovare un leitmotiv, un fil rouge che ti permetta di fare qualcosa di almeno conosciuto. Esempio pratico: appena posso mi porto il pane da casa, il pane so che vale quel tot e so che vale quel tot a Francoforte, come a Berlino, Milano, Venezia, Cagliari. Altro esempio: tendo a mangiare pochi carboidrati che non conosco, in quantità che non conosco; tra l’altro sono anche celiaco e quindi la cosa diventa ancora più complicata. Soprattutto cercare di affinare anche le cose più piccole. Tendenzialmente, noi in città che conosciamo, ci muoviamo in maniera abbastanza settoriale, cioè per andare da un punto A a un punto B prendo la metro, prendo il bus, quindi un movimento semplice. In una città come Francoforte, per esempio, tendo molto di più a camminare (come noto l’attività fisica riduce la necessità di insulina)… ciò che voglio dire è che occorre imparare a giocare con questi equilibri. Non è facile ma ci si riesce, con impegno.
Come ti organizzi durante le frequenti trasferte?
Nel mio kit di trasferta non manca mai un’insulina rapida di ricambio, una cartuccia di ricambio, una cartuccia di ricambio anche dell’insulina lenta, tre-quattro pacchetti di striscette per la misurazione della glicemia, tre aghi di pungidito da cambiare, una marea di pasti senza glutine da poter aprire all’evenienza e poi – di fatto – quando sei fuori devi prevenire anche l’imprevedibile della serie “non succede ma se succede” e quindi di fatto mi organizzo di scorte. Se posso mi porto via anche un glucometro di riserva, anche il liquido di controllo del glucometro. Devo essere tranquillo e partire sapendo che qualsiasi cosa mi succeda sono in grado di affrontarla e gestirla. Il glucagone non lo porto più ma porto sempre almeno due scatole di glucosprint. Non succede, ma se succede, devo essere pronto!
Ti sei mai sentito stigmatizzato per il diabete?
No, no perché l’ho sempre vissuta con il sorriso senza particolari impatti dal punto di vista sociale e neppure gli amici o le persone intorno a me mi hanno mai fatto sentire diverso o discriminato in qualche modo. La rogna qual è? Che – quando puoi scegliere – non mangi la pizza, perché sai che la gestione della pizza è un dramma. Non tendi a strafare con le porzioni perché sai che poi devi farti una caterva di insulina e più insulina fai più cose possono accadere. In generale, io la vivo più come una limitazione del mangiare, un aspetto che cambia molto considerando sempre anche il fatto che sono celiaco. Però a parte questo aspetto, dal punto di vista psicologico non mi sono mai sentito stigmatizzato dagli altri per la malattia anzi ho sempre percepito un bel clima di solidarietà: gli amici sanno che cosa può succedere e se dovesse succedere saprebbero come intervenire. Io sono sempre molto attento, non mi è mai successo per fortuna nulla di eclatante in pubblico, magari durante una cena però ho comunque avvertito tutti gli amici cari che frequento. Questa è una cosa che va detta e non nascosta, magari per vergogna. Quando il diabete entra nella tua vita, occorre informare ed educare le persone che stanno intorno a te ad agire nel modo più corretto. Sempre della serie “non succede, ma se succede”.
Il diabete, quanto incide sotto l’aspetto emotivo? Ti ha reso più sensibile?
Il diabete tipo 1 rende sicuramente più attenti. È la vita che condiziona il diabete o è il diabete che condiziona la vita? Il diabete sicuramente la sua influenza la esercita e comunque il suo peso ce l’ha. C’è anche il fatto che in prospettiva tu hai sempre una percezione di quello che sarà. Se mangi tot, sai che ci saranno determinate conseguenze e dovrai fare l’insulina perché ciò non accada, Quindi SI, il diabete aumenta la sensibilità ma aumenta anche la percezione del pericolo perché nel caso concreto sai che cosa può accadere. Però c’è anche un altro aspetto che a me piace molto sottolineare che è quello dell’abitudine. Quando il diabete inizia e inizia con tutta la sua imponenza, lì sei un po’ in difficoltà, perché non prendi ancora bene le misure, poi piano piano trovi un metodo, un’abitudine adatta a te, una realtà che puoi ripetere. Quando accade questo, allora sei molto molto molto più tranquillo.
Quindi il diabete affina anche una sensibilità intesa come percezione dei sensi: ascoltare il corpo, vivere il corpoB Me l’ha insegnato il diabete, prima non l’avrei mai fatto. Questa capacità di potersi anche adattare, quasi giocare quando hai imparato bene come si fa, quando hai preso confidenza con la malattia e la sua gestione, quando ne hai cura, il diabete aumenta la sensibilità soprattutto verso se stessi, affina la percezione del tuo corpo e delle sue necessità.
Pensi che il diabete ti abbia portato a una maggiore attenzione allo stile di vita rispetto ai tuoi coetanei?
Quando hai il diabete, in particolare il diabete tipo 1, devi pensare pima di fare qualunque cosa che possa richiederti energia; devi capire se ce l’hai, per quanto etc. L’attenzione allo stile di vita diventa da marginale a totale, per me non c’è una via di mezzo. Altra cosa da dire, il nuovo stile di vita te lo crei tu quindi più che lo stile di vita che si adatta a te, sei tu che ti devi adattare a un nuovo stile di vita però ci sono tutta una serie di piccole azioni a cui magari prima non avevi neanche pensato che diventano centrali ed è su quella centralità che poi si gioca il diabete. Capire che lo stile di vita viene completamente stravolto. Stravolgere non vuol dire poi sovvertire o complicare. Stravolgere vuol dire che c’è un equilibrio che viene rotto e se ne crea un altro. Il diabete questo fa sostanzialmente quando entra nella vita della persone. Toglie un equilibrio e ne crea un altro. Molto più fragile, molto più instabile ma c’è. E il gioco del diabete è mantenere questo equilibrio almeno a un livello buono. L’equilibrio lo dà un valore che è la glicata, l’emoglobina glicata. Lo sanno tutti i diabetici. Se riesci a tenere bene i valori sotto una certa soglia, se stai per cadere, la glicata te lo dice, motivo per cui – per fortuna – esiste come valore. Il gioco è questo, per farlo, lo stile di vita cambia un sacco. Però non è cambiamento sempre in negativo. Ha aspetti anche positivi. Ti porta a riflettere su tanti aspetti su cui magari prima non facevi neanche un pensiero”.
“La capacità di adattarti alle situazioni” è uno dei tuoi punti di forza, come ha detto Licia Colò? E l’autoironia…
“La capacità di adattarsi alle situazioni un po’ me la riconosco. Non trasformismo però capacità di adattamento alle situazioni e anche autoironia che poi alla fine è un modo di vivere, nel senso che se facessimo una vita “hay que dolor en mi corazon” sarebbe un disastro. Invece, io penso che l’autoironia, la leggerezza – che non è superficialità – è leggerezza, dia una grossa mano, enorme. Io sono appassionato di aviazione da sempre, sin da quando ero un bambino molto piccolo. La cosa che mi fa sempre impressione, ogni volta che prendo un aereo – ed è bellissimo – è che tu sei su un gigante di decine e decine di tonnellate – una bestia enorme. Bastano trenta secondi e quella bestia di decine di tonnellate diventa una piuma e si alza ed è – se ci pensate – una magia bellissima. Rappresenta un po’ il senso della vita: noi possiamo pensare quanto vogliamo ma se riusciamo a prendere la rincorsa giusta per staccarci da terra, intanto vediamo le cose dall’alto e sicuramente ci aiuta ma poi c’è una poesia bellissima, è quasi una magia vedere le cose dall’alto, riuscire a decollare qualunque siano le circostanze, staccarsi da terra e vedere le cose da un’altra angolazione è una delle cose quotidiane più belle che possa fare un essere umano”.
Che cosa vorresti fare da grande? Quali sfide ti aspettano?
“Da grande, oltre naturalmente a continuare a scrivere e a vivere – anche perché puoi raccontare storie solo se vivi – è un legame molto molto stretto – continuerò a raccontare storie. Il mio sogno da grande è raccontare storie: sarò in un teatro, in una piazza con una pila di libri e un paio di persone che mi ascoltano – bastano poche persone per fare cose belle. Cosa mi aspetto dal futuro? Per fare cose belle serve anche fare sacrifici quindi mi aspetto anche tanti sacrifici, mi aspetto anche una sfida grossa che è quella di pubblicare altri libri. Pubblicare non è facile, anche perché ti metti in gioco … è una cosa grande e non sai mai come andrà un libro. Quello è il grande dramma. Puoi programmare tutto, ma non lo sai perché ci sono molti fattori che non puoi controllare. La sfida più grossa sarà trovare un equilibrio, un equilibrio che possa portarmi dietro a lungo e che non mi faccia cadere … ma quell’equilibrio sono abbastanza sicuro che lo troverò … non so dirti tra quanto e con che mezzi ma di certo lo troverò”.
È quello che ti auguriamo, Matteo, con tutto il cuore. Grazie.