L’impianto di una protesi del pene

Prof. Gabriele Antonini

Nei casi più difficili quando non è possibile curare la disfunzione erettile con la terapia farmacologica o con la terapia rigenerativa, l’utilizzo di un dispositivo endocavernoso diventa fondamentale. “Riusciamo a risolvere perfettamente questo tipo di problematica in appena quindici-venti minuti facendo un incisione di due centimetri alla base del pene” sottolinea il prof. Gabriele Antonini.
Dopo un lungo periodo di specializzazione a Miami, il prof. Antonini è stato il primo e unico ad aver importato in Italia “The Perito ImplantTM”, una tecnica particolarmente innovativa per l’impianto di una protesi peniena che rappresenta oggi la migliore opzione chirurgica per il trattamento degli uomini con disfunzione erettile. Ce ne parla in dettaglio in questa intervista.

Dr. Antonini, quando è indicato l’impianto di una protesi al pene?

L’impianto di una protesi peniena è indicato in tutti i casi di disfunzione erettile che non rispondano ad altri presidi terapeutici o nei pazienti in cui le terapie a disposizione siano controindicate o abbiano provocato la comparsa di effetti collaterali importanti per il paziente. L’impianto di una protesi peniena è la migliore opzione chirurgica attualmente a disposizione per il trattamento della disfunzione erettile. Sono molti gli uomini che ne soffrono anche in Italia e il diabete di tipo 2, come noto, rappresenta nel tempo un fattore di rischio per questo disturbo della sfera sessuale. Un disturbo dell’uomo che spesso influenza e condiziona la vita sessuale se non la relazione di coppia.

Quando è opportuno procedere con l’intervento?

Molti uomini, ma anche alcuni medici, considerano questo intervento come “l’ultima spiaggia” ma non è così. L’impianto di una protesi al pene può essere effettuato in qualsiasi paziente che soffra di disfunzione erettile organica. L’esperienza clinica mi porta ad affermare che la maggior parte di questi disturbi non si risolvono in modo spontaneo con trattamenti non chirurgici. In molti casi, “temporeggiare” significa solo andare incontro a un irreversibile accorciamento del pene causato dalla scarsa ossigenazione dei corpi cavernosi.

L'impianto di una protesi idraulica del pene

Com’è fatta la protesi peniena? Ne esistono di diversi tipi?

La protesi del pene è un dispositivo endocavernoso formato da due cilindri che vengono inseriti nei due cilindri naturali del pene (i cosiddetti corpi cavernosi). Può essere non idraulica (malleabile) e idraulica (tricomponente).
Il dispositivo più semplice è la protesi non idraulica, costituita da due cilindri di consistenza costante che producono un’erezione di rigidità sufficiente a sostenere la penetrazione, ma tale da permettere la flessione del pene, per essere riposto negli slip. Rappresenta il modello di prima scelta nei casi in cui ci siano limitazioni della manualità del paziente.

protesi idraulica del peneQuando non ci sono limitazioni, sono da preferire le protesi idrauliche che sono costituite da tre componenti: due cilindri gonfiabili, un dispositivo di controllo interno allo scroto e un serbatoio di liquido posizionato vicino alla vescica. In questo modo si crea un sistema a circuito chiuso, dove il liquido viene trasferito ai due cilindri per ottenere l’erezione del pene e, sempre a comando manuale, viene ritrasferito al serbatoio per ottenere la flaccidità peniena.

Che tipo di erezione consente una protesi idraulica?

Intanto è importante sottolineare che la presenza di una protesi peniena idraulica non si nota dall’esterno e già questo è un fatto positivo per l’uomo. La protesi idraulica permette di ottenere un’erezione peniena del tutto simile a quella naturale, sia come consistenza che come aspetto, mantenendo la stessa sensibilità precedente all’intervento, e la stessa capacità dell’uomo di eiaculazione e orgasmo. Il tutto non notando nulla dall’esterno. Infatti, tutti gli elementi della protesi sono all’interno del corpo“. Il grande vantaggio offerto da questo tipo di protesi è quello di ottenere una rigidità peniena solo durante l’attività sessuale, consentendo di nascondere l’erezione negli altri momenti della vita di relazione. Oggi, grazie allo sviluppo tecnologico, si hanno a disposizione delle protesi che prevedono un aumento di espansione sia in larghezza che in lunghezza nel tempo che mimano ancora meglio l’eccitazione fisiologica dell’uomo.

Che tecnica utilizza per posizionare la protesi idraulica?

Utilizzo una tecnica mininvasiva, particolarmente innovativa in Italia, che viene denominata “Minimally invasive penile prosthesis implant”. L’ho imparata e messa a punto durante un lungo periodo di formazione a Miami, dove ho collaborato con il più rinomato chirurgo urologo americano che opera in quest’area, il Prof. Paul Perito del Coral Gables Hospital in Florida. Utilizzo questa tecnica soprattutto nei pazienti operati per carcinoma della prostata e nei soggetti con diabete di tipo 2.

Come si esegue questa tecnica e quali obiettivi ha?

La tecnica mini-invasiva ha due obiettivi principali: quello estetico e quello funzionale, entrambi raggiunti brillantemente.

Per l’impianto di una protesi idraulica si effettua un’incisione alla base del pene, a livello del pube, di appena due centimetri. L’intervento dura circa quindici-venti minuti, contro i cinquanta minuti di quello tradizionale, ciò consente di ridurre di molto il dolore post-operatorio che diventa quasi inesistente.

L’intervento deve essere necessariamente rapido. Minore è il tempo di esecuzione, minore è la possibilità che la protesi si infetti. Le incisioni dei corpi cavernosi del pene devono essere minime per evitare dopo averle richiuse che ci sia un sanguinamento che può avviare la formazione di un ematoma, vera fonte di infezione. Anche la dilatazione dei corpi cavernosi deve essere rapida e minima, in modo da conservare quanto più tessuto erettile possibile: in questo modo, si riesce a non dare al paziente la sensazione di “pene freddo”. L’incisione che effettuiamo nella regione infrapubica consente di evitare l’incisione dello scroto. Il tessuto scrotale, essendo molto ricco di vasi sanguigni, se viene tagliato sanguina molto e quindi provoca più facilmente ematomi. Inoltre, è molto più sensibile alle infezioni rispetto al tessuto della regione pubica e un’incisione a questo livello provoca molto più dolore acuto al paziente che può persistere anche per 20-30 giorni.
Incidere nella regione infrapubica permette anche un più agevole impianto del serbatoio del liquido vicino alla vescica.

Quindi è vero che questa tecnica riduce in modo considerevole anche il rischio di infezioni?

Si, è vero. É un altro dei vantaggi dell’utilizzo di questa tecnica rivoluzionaria. Con il classico intervento chirurgico l’incidenza di infezioni risulta essere molto più elevata. Utilizzando la tecnica mini-invasiva del Prof. Perito, si riescono a codificare delle manovre “tecniche” che poche persone al mondo conoscono e che rendono l’impianto della protesi peniena estremamente agevole, senza il rischio di creare sanguinamento post-intervento e quindi senza il rischio di ematomi, che rappresentano la vera fonte di infezioni del dispositivo. Con questa tecnica mini-invasiva, lavoriamo in uno spazio ridotto e solo una perfetta conoscenza dell’anatomia e delle manovre da effettuare permette un ottimo risultato che si mantiene tale anche nel tempo.

Quando si può riprendere l’attività sessuale?

In passato, l’incisione chirurgica veniva eseguita tra il pene e lo scroto, e questo provocava un notevole fastidio al paziente nel post operatorio rallentando l’attivazione del sistema a oltre un mese dall’intervento. Con la nuova tecnica mini-invasiva, i tempi di ripresa si accorciano notevolmente e già dopo una settimana dall’intervento l’impianto può essere attivato e l’attività sessuale può iniziare a un mese di distanza.

Dove ci si può rivolgere per una visita e un consulto preliminare sull’opportunità di inserire una protesi peniena?

Il nostro centro è a Roma e siamo gli unici ad essere abilitati dalla “casa madre” di Miami all’impianto mini-invasivo. I nostri contatti sono facilmente reperibili on-line. Abbiamo inoltre collaborazioni professionali aperte a Madrid, Londra e nel centro-America dove svolgiamo attività chirurgica di tutoraggio per l’impianto delle protesi al pene.

Il suo staff prepara il paziente anche dal punto di vista emotivo e psicologico?

La tipologia di disturbo della sfera sessuale rende il paziente con disfunzione erettile particolarmente delicato e bisognoso di un sostegno psicologico ed emozionale. Per questo, insieme a uno staff mirato, abbiamo creato un Servizio di accoglienza completamente dedicato al paziente, che prevede oltre alla semplice organizzazione logistica delle fasi di preparazione all’intervento e a tutto il decorso post-operatorio, anche un vero e proprio supporto psicologico ed emozionale per il paziente ed eventualmente per la coppia. È un vero e proprio percorso prima, durante e dopo l’intervento in cui il paziente viene accompagnato e sostenuto. Si tratta spesso di uomini che convivono in silenzio con il dominante squilibrio tra un deficit – apparentemente irrisolvibile – di cui hanno difficoltà a parlare – e il desiderio represso di continuare a vivere pienamente tutti i piaceri che derivano da una sana vita sessuale. Un disturbo che parte dall’uomo, è vero – portandolo anche a momenti di depressione, ma che inevitabilmente coinvolge la coppia e spesso ne mette perfino in crisi la relazione. Ed è proprio a questi uomini “senza piacere dell’oggi e senza passione nel domani” che siamo preparati a rivolgerci a tutto tondo, in modo professionale, con un approccio chirurgico all’avanguardia ma che non dimentica gli aspetti umani e psicologici, altrettanto importanti. Negli ultimi anni abbiamo anche istituito con successo dei gruppi di auto-aiuto con il contributo di ex pazienti che quindi hanno già provato la stessa situazione e si rendono disponibili a raccontare il loro vissuto e a condividere l’esperienza dell’impianto protesico. Abbiamo notato che questa iniziativa è molto motivante per entrambe le parti: dà grande coraggio e rafforza le convinzioni sulla validità dell’intervento. Penso che anche questo aspetto sia parte del successo di questo approccio mini-invasivo. Mettere a proprio agio il paziente, farlo sentire compreso e dargli un’opportunità di rinascita. Tutto questo significa per noi il giorno dell’impianto protesico ad un “nostro” paziente.

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