IL VIAGGIO DI CLAUDIO CON IL DIABETE DI TIPO 1. UN MODO PER CONOSCERSI E METTERSI ALLA PROVA
I giorni in Nepal, vicino a Katmandu e l’arrivo in India
I giorni in Nepal sono stati all’insegna della vita rurale, semplice e di campagna.
Prestavo servizio di volontariato in uno sperduto villaggio di poche anime alle porte del parco nazionale di Shivapuri, a circa due ore dalla capitale Kathmandu.
In villaggio era difficilissimo trovare la carne, merce di lusso da quelle parti, mentre si trovavano ottime verdure di stagione come verza, pomodori, patate, melanzane e peperoni. Così, complici i miei compagni di casa, anch’essi volontari nell’orfanotrofio, ma soprattutto vegetariani, mi sono ritrovato ad essere anch’io vegetariano. La cosa non mi dispiaceva affatto dal momento che era da tempo che volevo provare un’esperienza del genere. Così ho iniziato a sperimentare questa nuova dieta.
La dieta vegetariana e l’adattamento della dose di insulina
La sera mangiavamo con i bambini nell’istituto (humantraction.org) ed il piatto era sempre il Dal Bhat, ovvero riso bollito con una zuppetta di legumi e verdure stufate. Talvolta c’erano pezzi di soia ed era una festa. Sono dimagrito di circa 6 chilogrammi, ma si trattava di peso assolutamente in eccesso quindi ora ho raggiunto un peso forma ideale.
La dieta basica ha fatto inizialmente a pugni con il diabete in quanto le prime settimane erano frequenti le ipoglicemie, sebbene sempre di lievissima entità. Ho diminuito di circa il 30% il mio dosaggio giornaliero di insulina e dopo circa una quindicina di giorni avevo trovato il mio equilibrio. Non credo fosse un problema di carne, quanto di annessi e connessi, ovvero l’eliminazione di qualsiasi alcolico, la riduzione ai minimi termini dei condimenti, niente pane, poca pasta e l’assenza totale di burro e altri grassi.
Ogni tanto è capitato che tornassi nella capitale per vari motivi e qui mi concedevo cene occidentali, ma ho continuato ad evitare la carne nonostante i prelibati polli alla tandoori.
Ho riscoperto i legumi e le loro proprietà benefiche, mentre il riso e le patate andavano gestiti per il loro alto indice glicemico.
Ho mangiato mango e banane in abbondanza per riequilibrarmi di fibre, potassio e vitamina C.
Certo la mia esperienza in orfanotrofio è stata particolare, tuttavia in tutto il Nepal il cibo è molto basico e salutare: il diabete e il peso forma ne hanno tratto giovamento. I consigli del dott. Genovese, che mi segue dall’inizio dell’avventura hanno fatto il resto.
A proposito di movimento: il mio trekking in montagna
Verso la fine del mio periodo nepalese mi sono concesso due esperienze particolarmente interessanti per la gestione del diabete. Dapprima ho effettuato un trekking impegnativo sulle montagne limitrofe all’Annapurna e in pratica dovevo gestire l’attività fisica senza poter contare su rifornimenti durante il tragitto. Così nello zaino hanno trovato spazio i chapati, ovvero delle specie di piadine senza sale utilissime per sostituirsi al pane, biscotti per eventuali ipoglicemie e banane fino a che l’altitudine lo ha permesso.
Colazione abbondante con uova, yogurt e chali, ovvero il loro the bollito con latte.
L’arrivo nei villaggi era sempre a metà pomeriggio e si veniva accolti da pannocchie fumanti. La sera nelle varie guesthouse veniva sempre proposto il Dal Bhat e così, essendo già rodato, non ho avuto alcun problema di alterazione della glicemia.
Un corso di meditazione che mi ha messo davvero alla prova. Il diabete mi ha aiutato
L’altra esperienza che ha stravolto la mia cura è stato il corso di meditazione Vipassana durante il quale la giornata era completamente diversa da quanto fossi abituato. Erano previste 14 ore al giorno di meditazione con sveglia alle 4 del mattino e colazione alle 6,30. Colazione diversa tutti i giorni e basata sostanzialmente su cereali cotti e zuppe di legumi. Talvolta ci è stato offerto riso bollito nel latte, squisito, ma ahimè alquanto calorico. Immancabile il chai.
Il pranzo veniva servito alle 11 ed era il solito Dal Bhat, tuttavia si trattava dell’unico vero pranzo della giornata e quindi bisognava mangiarne in abbondanza. Sì perché fino al mattino dopo non avremmo più potuto mangiare eccezion fatta per una piccola merenda alle 5 del pomeriggio basata su due banane o due mele e una ciotolina di riso soffiato con arachidi.
La gestione del diabete non è stata semplice nei primi tre giorni in quanto temevo fortemente di avere ipoglicemie notturne. Così, in attesa di capire le reazioni del mio corpo all’assenza di una cena, ho abbassato il dosaggio con conseguenti iperglicemie comunque controllate e corrette.
La scuola di meditazione Vipassana è tra le più dure al mondo e ciò che la rende così dura è il cosiddetto silenzio nobile, ovvero la totale assenza di interazione vocale e a gesti o sguardi con le altre persone per l’intera durata del corso, cioè dieci interminabili giorni.
Tuttavia noi diabetici godiamo di un piccolo vantaggio in questa tecnica di meditazione: essendo basata sull’osservazione delle sensazioni nel nostro corpo, il diabetico è abituato fin dalla comparsa della malattia a fare i conti con le proprie sensazioni per capire e prevenire le ipoglicemie innanzitutto e anche le iperglicemie: insomma noi diabetici siamo già per natura degli osservatori di sensazioni.
È stata un esperienza molto positiva che mi ha permesso di fortificare la mente e poter dialogare ancora meglio con il mio corpo.
L’arrivo in India: altri adattamenti e attenzione ai massimi livelli
In questi ultimi giorni invece é stata la volta dell’approccio all’India che, nella mia testa, pensavo molto simile al Nepal.
Non è così poiché innanzitutto è molto, molto sporca e per una persona che si deve “bucare” tutti i giorni sia per gli esami sia per le iniezioni di insulina l’attenzione deve essere ai massimi livelli.
E poi il cibo, completamente diverso. Qui abbondano di burro e molte pietanze vengono fritte. Inoltre, grazie alla dottoressa Bosetti che mi segue come nutrizionista e consigliera, scopro che il riso qui ha un indice glicemico ancora più alto. I primi giorni le glicemie erano variabili indecifrabili, ma poi, come sempre, ho ritrovato il mio equilibrio. Il trucco in questi casi è fare tanti esami della glicemia, pre e soprattutto post prandiali.
Ho quindi sostituito il riso con i deliziosi chapati indiani e ho eliminato il mio amato chai perché qui è troppo zuccherato e, anche su richiesta, si fa fatica ad ottenerlo amaro.
Pazienza, mi consolo con lo strepitoso lassi indiano fatto con yoghurt e frutta fresca che, essendo preparato sempre al momento, può essere tranquillamente richiesto senza zucchero. Inoltre ho trovato dell’ottimo cacao amaro, fonte preziosa di ferro così come gli spinaci che qui sono squisiti e preparati frullati in un piatto con formaggio chiamata palak paneer.
La cucina indiana è buonissima ed estremamente varia da regione a regione; al momento ho potuto assaporare solo quella del nord, di Varanasi, ma non vedo l’ora di raccontarvi il resto!
Namastè mondo!
Per chi volesse donare a Human Traction. Anche una piccola offerta può fare la differenza per loro, l’indirizzo per tutte le informazioni è il seguente: www.humantraction.org
Segui Claudio anche su:
Tutte le foto riportate sono scattate e gentilmente concesse da Claudio Pelizzeni durante il suo viaggio senza aerei.