Carboidrati raffinati raddoppiano il rischio di coronopatia. Una ricerca effettuata presso la Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e pubblicata su Archives of Internal Medicine, ha dimostrato che le donne che mangiano frequentemente e abbondantemente carboidrati ad alto indice glicemico – che provocano cioè l’aumento di glucosio nel sangue – aumentano il rischio di malattie cardiache. Al contrario degli uomini cui questo tipo di alimento non produce lo stesso rischio. Quasi 45.000 volontari (oltre 13.000 uomini fra 35 e 64 anni e quasi 31.000 donne fra 35 e 74 anni) di Torino, Varese, Firenze, Napoli e Ragusa per otto anni hanno compilato questionari sulle loro abitudini alimentari, la storia clinica e il loro lo stile di vita (attività fisica, fumo, uso di alcool).
I ricercatori hanno calcolato il consumo di carboidrati e l’indice glicemico della dieta dei volontari. Nel periodo studiato, 463 delle persone che si sono sottoposte alla ricerca hanno sviluppato una coronaropatia (158 donne e 305 uomini); in base ai dati raccolti si è osservato che un quarto delle donne – precisamente quelle che avevano consumato più carboidrati – ha raddoppiato nel periodo osservato il rischio di malattie cardiache così come un quarto di quelle che ne avevano consumati di meno. I ricercatori hanno allora diviso i carboidrati in base al loro indice glicemico, concludendo che la differenza era nella qualità dei cereali e non nello loro quantità, infatti quelli raffinati, con indice glicemico più alto, erano più spesso associati al rischio di coronaropatia di quanto non lo fossero quelli integrali che hanno l’indice glicemico più basso.
Le donne esaminate che nella loro dieta avevano cereali con alto indice glicemico avevano un rischio maggiore di 2,24 volte, al contrario degli uomini per i quali non si è notata la stessa relazione. Probabilmente la diversa relazione è provocata dalla diversità di metabolismo del glucosio e delle lipoproteine fra uomini e donne, come ha spiegato la coordinatrice dello studio Sabina Sieri.
Fonte: Arch Int Med 2010;170(7): 640-647