#2 – L’impatto con il microinfusore

#2 – L’impatto con il microinfusore - Fabio Braga

A cura di Fabio Braga, imprenditore con diabete tipo 1, #pedalidizucchero #amataglice

Fabio, continuiamo il tuo racconto, ti abbiamo lasciato in un momento molto critico di depressione, dopo che ti sei reso conto di avere il diabete di tipo 1…

“Effettivamente intorno a me c’era sempre un velo di tristezza … io sono una persona molto allegra, mi piace ridere e scherzare, ma gli sbalzi di glicemia mi facevano apparire sempre arrabbiato, nervoso, di cattivo umore; sì, è vero, avevo vicino mia moglie, mia figlia, i miei fratelli, i miei genitori ma non riuscivano a capire bene, e quindi dovevo combattere ogni giorno anche con queste incomprensioni, e ci stavo male ed era pesante dover far capire continuamente che durante i picchi di glicemia io non ero me stesso. Lavorare, seguire l’azienda, e per di più seguire anche quelli che non mi capivano diventava sempre di più un’impresa difficile, una cosa che mi dava pressione, che mi logorava dentro.”

 

…come hai ritrovato la motivazione?

“Ne parlai con il mio primario, con cui avevo un rapporto di piena fiducia e lui mi disse: “Senti Fabio, facciamo una cosa, sono usciti questi nuovi cosi qui…” “Cosa sono questi nuovi così qui” ribattei io. Sono i microinfusori, hai voglia di provarli? Sicuramente ti renderanno la vita un po’ più vivibile. Li stiamo sperimentando. “ Magari, dissi io, proviamo, anche se dentro di me ero un po’ riluttante perché non mi piaceva viaggiare con un marchingegno in tasca però ci ho voluto provare. Ci ho voluto provare perché sono curioso di natura e poi pensavo continuamente: “se è una cosa che mi farà stare meglio, mi farà uscire dalla depressione in cui ero caduto, ben venga!” Ho fatto queste prove ed è così che ho iniziato con il mio primo microinfusore ma senza rilevatore di dati, perché allora non c’erano ancora in Italia.”

Qual è stato l’impatto con il microinfusore?

“Devo dire che già soltanto il fatto di non bucarmi più mi rendeva la vita un po’ più agevole, diciamo così.
Ho provato vari tipi di microinfusori per l’Ospedale Maggiore di Novara, all’interno della sperimentazione in cui ero inserito e quindi i dati che scaricavo venivano poi spediti in Regione Piemonte. In questo modo ho avuto l’opportunità di aiutare non solo me come Fabio Braga ma anche molte altre persone. Da quando misi il microinfusore imparai piuttosto in fretta ad adoperarlo molto bene, ero molto abile nell’usarlo e mi sentivo anche un po’ più motivato. Cominciavo a sentirmi un po’ meglio.
A questo punto, il mio primario di allora cominciò a fare sperimentare questi nuovi strumenti non solo a me ma anche ad altre persone e a un certo punto, vedendomi molto motivato mi propose di dargli una mano per motivare altri pazienti all’utilizzo del microinfusore. Devo dire che sono stati due anni molto interessanti, mi sono piaciuti e mi hanno aiutato a crescere molto. Vedere le persone che soffrivano, che stavano passando le stesse situazioni che avevo passato qualche anno prima e trasmettere loro questa forza, questa fiducia ha dato modo a loro di cominciare a conoscere il microinfusore, prendere confidenza con lo strumento, capirne le potenzialità e pian piano il novanta per cento di loro decise di usarlo.”

E del sensore che cosa ci dici? Qual è stata la tua esperienza, all’inizio?

“In seguito, cominciò a uscire il primo sensore; i primi sensori non erano come quelli di adesso: dovevano essere mantenuti in frigorifero, non leggevano bene il dato. Ricordo che è stato un altro momento di sconforto perché non riuscivamo a capire quale fosse la reale utilità: vedere magari un valore di 300 e quello giusto era 100, erano i primi strumenti di questo tipo e avevano ancora bisogno di una notevole messa a punto. Fu destabilizzante. Però piano piano a forza di sperimentare e provare diversi modelli, anche le case farmaceutiche si adoperarono insieme a noi pazienti per capire come mai non funzionassero bene e dove era necessario intervenire. Progressivamente si è arrivati ai modelli più evoluti che sono disponibili oggi.”

Quindi l’esperienza del microinfusore è per te positiva

“Certamente, posso dire che sono passato da un malessere a un benessere, tutto sommato. Il microinfusore aiuta molto: rileva i dati al momento, e innanzitutto ti manda delle dosi giornaliere all’interno del corpo che puoi decidere insieme al tuo diabetologo. È importante sottolineare che con il proprio specialista o hai un rapporto intenso come ho avuto io o altrimenti lo vedi una volta o due all’anno ed è effettivamente troppo poco per instaurare un rapporto empatico di fiducia, e sta a noi giocarci quello che abbiamo in tasca. Io posso intervenire con il microinfusore, dirgli che cosa deve fare, devo fare un bolo e lui fa il bolo ma tutto questo comportamento scaturisce da un insieme di insegnamenti precedenti, di impegno e familiarità con la tecnologia e accettazione dello strumento, da esperienze sul tuo corpo che non bisogna avere paura di fare perché ogni giorno noi diabetici sappiamo che è un giorno nuovo. Anche a parità di condizioni, o per il clima, o per lo stress, o per quello che si mangia o perché sul lavoro ti hanno fatto arrabbiare, o in famiglia non sei capito, i motivi possono essere mille ma occorre essere consapevoli che ogni giorno si ricomincia da capo. Alle volte succede che sono tutto il giorno in ufficio e vado in ipo perché uso tanto il cervello e molte persone non pensano che anche il cervello usa lo zucchero, in realtà è soprattutto il cervello a consumare lo zucchero (la sua unica fonte di nutrimento); quindi a volte mi capita di andare più in ipo in ufficio che fuori a vedere un cliente piuttosto che andare a controllare come procede un cantiere. E uno strumento come il microinfusore ti aiuta, e molto a mantenere la glicemia più sotto controllo.”

Ci sono state altre ricadute?

“Purtroppo, non posso negarlo, ci sono state delle altre ricadute. Ricordo che per quattro anni non ho più voluto il sensore, mi ribellavo al sensore, quasi volevo tornare alla penna, perché ero caduto di nuovo in depressione, cominciai a mangiare, da 74 chili ritornai a 105 chili, non mi volevo più bene; il mio professore continuava a dirmi: “guarda che se vai avanti così con queste glicate (valori anche di 12.6!) succederanno queste complicanze, queste complicanze… un vero mantra….” E a me in quel momento non interessava. A me, allora, bastava tenere la glicemia sotto i 250, io mi sentivo “bene” e invece avrei dovuto ascoltare il mio dottore, il dottor Allochis.”

Vuoi dare un consiglio in questo senso?

“Oggi posso dire con molta tristezza che, se un dottore vi dice una cosa non prendetela sempre sotto gamba oppure non ascoltate solo sant’internet, ascoltate le persone che vi stanno più a cuore e soprattutto ascoltate sempre il vostro diabetologo, che sia di fiducia. Lui, anche se non ha il diabete e non potrà mai capire fino in fondo che cosa vuol dire averlo, ha studiato per curare il diabete. Cercate il più possibile una buona intesa tra lui e voi: solo così potrà nascere un rapporto di fiducia costruttivo e che duri nel tempo, fra gli alti e bassi che si presenteranno. Ma in definitiva sta a noi gestire il nostro quotidiano, e io avevo perso questa gestione, perché volevo stare bene e basta.”

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