A cura di Maria Rita Montebelli* e Andrea Sermonti**
Obesità e terapia farmacologica. Come si cura oggi l’obesità nelle sue diverse forme, quali farmaci arriveranno nei prossimi mesi e quali sono le linee di ricerca del futuro: dalla modulazione del microbiota in senso anti-obesità, alla pillola ‘brucia-grasso’. Se n’è parlato ampiamente a Roma in occasione del 123° Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina Interna, SIMI (21-23 ottobre ’22).
Obesità: malattia cronica recidivante e progressiva
L’obesità e le malattie correlate (in particolare il diabete di tipo 2), sono al centro di una vera e propria pandemia, che ha risvolti umani, clinici e socio-economici enormi, con impatto crescente. È dunque imperativo trovare soluzioni terapeutiche mirate. E i primi importanti risultati concreti di questo sforzo di ricerca planetario si stanno cominciando a vedere, con le terapie già approdate alla pratica clinica e quelle di prossimo arrivo. Ma il futuro è ancora più roseo e forse siamo a un passo dal poter affrontare ad armi pari questo nemico così pervasivo e difficile da sconfiggere. Nel 2022, il congresso nazionale della Società Italiana di Medicina Interna (SIMI) dedica a questo argomento una sessione dal titolo ‘Obesità: una ‘nuova malattia internistica’.
“La Commissione Europea – ricorda il prof. Giorgio Sesti, presidente della Società Italiana di Medicina Interna (SIMI) – ha recentemente riconosciuto che l’obesità è una malattia cronica, recidivante e progressiva e come tale non è più soltanto un fattore di rischio per malattie cardio-metaboliche, epatiche o respiratorie. Le strategie terapeutiche basate sul cambiamento di stile vita sono state negli ultimi anni affiancate da farmaci efficaci e sicuri basati sugli agonisti del recettore del GLP-1 che si stanno arricchendo di nuovi farmaci poli-agonisti, che utilizzano due o tre molecole ormonali. Lo sviluppo di questi nuovi farmaci per la cura dell’obesità apre nuovi scenari non solo per il trattamento del sovrappeso, ma anche per i possibili benefici in termini di prevenzione cardiovascolare”.
La carica dei nuovi farmaci contro l’obesità
La farmacoterapia (terapia con i farmaci) è un pilastro nella lotta all’obesità e alle sue complicanze. “Gli agonisti recettoriali del GLP-1 e i poliagonisti recettoriali, o l’associazione di alcuni di essi – spiega il prof. Paolo Sbraccia, professore ordinario di Medicina Interna nel Dipartimento di Medicina dei Sistemi dell’Università degli Studi di Roma ‘Tor Vergata’ e direttore dell’Unità Operativa Complessa di Medicina Interna e Centro Medico dell’Obesità del Policlinico Tor Vergata – rappresentano al momento soluzioni di farmacoterapia molto efficaci e sicure per la perdita di peso e il suo mantenimento. Queste più recenti classi di farmaci nei soggetti con diabete (che possono usufruirne in copertura SSN a differenza dei pazienti con obesità!) riducono inoltre il rischio cardiovascolare sia indirettamente, attraverso il calo di peso, che direttamente, attraverso effetti anti-aterogeni. I risultati degli studi in corso, disegnati per verificare se tali farmaci riducano il rischio di eventi cardiovascolari anche nei pazienti con obesità senza diabete, ci diranno se l‘obesità dovrà essere inquadrata come un equivalente di malattia cardiovascolare”.
“Quello che stiamo vivendo è un momento molto particolare nella storia del trattamento dell’obesità perché finalmente sono a disposizione farmaci molto efficaci, con un profilo di sicurezza ottimo e in grado di proteggere contro gli eventi cardiovascolari, dalla steatosi epatica, dall’infertilità, e altri ancora. “L’obesità – prosegue il professor Sbraccia – è una malattia cronica, recidivante e progressiva (come stabilito anche dalla Commissione Europea) e questa accezione la colloca nel novero delle malattie curabili con i nuovi farmaci, che hanno un profilo di efficacia e sicurezza sempre maggiore. Questo naturalmente non vuol dire che l’approccio multidisciplinare, la terapia cognitivo-comportamentale e nei casi più gravi la chirurgia bariatrica, verranno spazzati via. Ma certamente il pilastro terapeutico della farmacoterapia è destinato a rinforzarsi sempre di più”.
Attualmente sono a disposizione farmaci già molto validi come la liraglutide a somministrazione quotidiana, che ha però un’efficacia limitata sul calo ponderale (la perdita attesa è inferiore al 10% del basale). “A breve però (si parla dei primi mesi del 2023) – anticipa il professor Sbraccia – è atteso l’arrivo della semaglutide 2,4 mg, un GLP-1 agonista a somministrazione iniettiva settimanale, che consente di perdere oltre il 15% del peso corporeo (negli studi clinici, oltre un terzo dei soggetti trattati hanno superato il 20% di perdita del peso iniziale). Sono inoltre in corso studi clinici sull’associazione semaglutide-cagrilintide (un analogo a lunga emivita dell’amilina) che consentirebbe di superare anche la soglia del 20% di perdita di peso iniziale”.
“Su un altro fronte – prosegue il professor Sbraccia – lo studio SURMOUNT-1 sulla tirzepatide [un doppio agonista recettoriale del GIP (Peptide Inibitorio Gastrico) e del glucagon-like peptide 1 (GLP-1) a somministrazione settimanale, che integra le azioni di entrambe le incretine (GIP e GLP-1) in un’unica nuova molecola] ha mostrato risultati di estremo interesse, con una metà dei pazienti trattati che superano il 25% di calo ponderale”. Insomma, abbiamo di fronte prospettive notevoli nel campo della terapia dell’obesità”. Anche se – c’è da aggiungere – che occorrerà aspettare per la loro rimborsabilità. “Questi farmaci sono tutti ‘costruiti’ intorno all’azione di una serie di ormoni gastrointestinali che agiscono sia sull’apparato gastro-intestinale, che a livello centrale, nella regolazione del bilancio energetico.
“Più in là – anticipa il professor Sbraccia – avremo anche i poli-agonisti e i tripli-agonisti (attivi sui recettori di GLP-1, GIP e glucagone). E comunque già oggi la terapia dell’obesità ha rotto il muro del suono, consentendo di superare soglie ritenute impensabili un tempo”. E quindi per i pazienti con obesità il futuro sarà migliore.
Ma non mancano i problemi. Questi farmaci hanno un costo non indifferente e attualmente sono a carico del paziente.
Questo importante aspetto degli alti costi – sostiene il professor Sbraccia – “nel nostro sistema universalistico, introduce un problema di equità di accesso alle cure. Se poi gli studi in corso per valutare il rischio cardiovascolare, dimostrassero un’efficacia di queste terapie nelle popolazioni a rischio (chi ha già avuto un infarto o un ictus, per esempio) certamente questo sarebbe un’altra freccia all’arco del trattamento con questi farmaci. Certo la rimborsabilità, in un sistema che deve essere sostenibile, potrebbe non essere semplice da ottenere, ma magari a fronte di questi risultati una fetta di popolazione potrebbe ottenerla”.
È in sviluppo anche per l’obesità la semaglutide orale, attualmente disponibile per i soggetti con diabete.
“Ritengo però che queste terapie orali – prosegue Sbraccia – andrebbero riservate ad una nicchia di pazienti ben selezionati, per esempio gli adolescenti o i soggetti con il terrore dell’ago (agofobia), anche se gli aghi che si usano per queste terapie sono sottili come capelli. Fare una piccola iniezione a settimana, certi della biodisponibilità del farmaco somministrato per questa via, sembra ancora la via di somministrazione migliore”.
La pipeline dei farmaci di next generation è ricchissima
“Sono 25-30 i farmaci in sperimentazione, dai tripli agonisti, alle small molecules. Un florilegio di nuovi farmaci, insomma, alla stessa stregua di quanto sta succedendo nel diabete tipo 2 (e quasi tutte queste terapie hanno la doppia indicazione diabete/obesità). “Se l’obesità si attesterà come vera e propria malattia – conclude Sbraccia – se avrà la dignità del ‘bollino’ di malattia cronica, perdendo al contempo lo stigma non solo sociale (bullismo, pregiudizi, discriminazione del peso), ma anche quello clinico che – non dimentichiamo – durante il Covid ha portato a chiudere gli ambulatori dell’obesità, salvo poi scoprire che gli obesi sono fragili e da vaccinare prioritariamente, e ancora lo stigma istituzionale (che finora non l’ha considerato un problema prioritario da affrontare!!). Si spera che, anche grazie allo sviluppo di questi nuovi farmaci, questi pazienti avranno finalmente risposte adeguate ai loro problemi” e un accesso equo alle terapie in tutto il territorio.
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* La Dott.ssa Maria Rita Montebelli è medico specialista in endocrinologia al Dipartimento di Scienze gastroenterologiche, endocrino-metaboliche e nefro-urologiche del Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Roma.
Si occupa da molti anni di divulgazione medico-scientifica, come giornalista, moderatore di incontri scientifici, addetto stampa. Scrive per Quotidiano Sanità e per il portale Salute di Repubblica.
** Il Dr. Andrea Sermonti è giornalista, laureato in Giurisprudenza all’Università La Sapienza di Roma, attualmente Direttore di StudioNews, Bruxelles, Società di servizi stampa, specializzata nell’offerta di service giornalistici per i quotidiani e on line nonché nell’organizzazione di conferenze ed eventi media.