A cura del Dott. Gianpiero Garau, ricercatore dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT)** presso il Centro IIT@NEST della Scuola Normale di Pisa.
Spesso ci chiediamo come mai alcuni diabetici siano più a rischio di insorgenza di complicanze rispetto ad altri. È possibile prevedere in che “gruppo di rischio” ci troviamo? Un lavoro appena pubblicato sulla prestigiosissima rivista scientifica Nature Medicine mostra come la valutazione di parametri sia glicemici che biomedici nelle persone a rischio di diabete tipo 2 (T2D) permetta di identificare efficacemente a priori il rischio di progressione del diabete e delle sue complicanze, tramite classificazione in uno tra 6 sottogruppi distinti.
Linee guida e diagnosi precoce del diabete tipo 2
Nella pratica clinica attuale, le linee guida internazionali raccomandano di identificare gli individui che hanno un’alta probabilità di sviluppare il diabete mellito di tipo 2 (T2D, dall’inglese Type 2 Diabetes) e le sue complicanze (retinopatia, neuropatia, nefropatia, vasculopatia, cardiopatia) sulla base di alcuni fattori di rischio (per es: storia familiare di diabete, obesità, ipertensione, dislipidemia, etc.), e quindi di implementare nel tempo lo screening con esami del sangue come la glicemia e l’emoglobina glicata. Coloro che hanno valori di glicemia non troppo elevati e che scendono al di sotto del valore soglia per la diagnosi di diabete tipo 2, sono classificati come affetti da “prediabete” o da “iperglicemia alterata/intermedia“.
Fino a quasi il 60% delle persone con diagnosi di pre-diabete può tornare in modo spontaneo ad uno stato normoglicemico entro cinque anni tramite uno stile di vita corretto (alimentazione, attività fisica moderata regolare). Diversi studi poi hanno dimostrato che una terapia farmacologica mirata a coloro a rischio di T2D può migliorare notevolmente nel tempo l’esito terapeutico. Tuttavia, un grosso problema è sempre quello di identificare precocemente gli individui a più alto rischio di sviluppare il diabete tipo 2, e tra questi di sviluppare drammatiche complicanze croniche, per indirizzare al meglio gli interventi terapeutici a coloro che ne hanno più bisogno.
Negli anni passati sono stati proposti diversi criteri di diagnosi che mostrano tutti però una notevole eterogeneità in termini di capacità di prevedere la progressione del T2D.
Il diabete tipo 2 colpisce oltre 400 milioni di persone in tutto il mondo, causando enormi oneri sanitari ed economici. Un gruppo ancora più ampio di persone presenta fattori di rischio per lo sviluppo del diabete, e rappresenta una popolazione sempre più in crescita che necessita di innovativi criteri diagnostici e predittivi per promuovere approcci strutturati e mirati di intervento precoce. Le attuali strategie di screening, infatti, hanno permesso di quantificare un 35% degli adulti in una data popolazione che possono venire considerati affetti da pre-diabete. Di questi però, solo una piccola frazione (~ 5-10%) poi progredisce nella malattia ogni anno. Identificare le persone con un rischio elevato di sviluppare il T2D ha implicazioni pratiche, poiché esistono interventi che possono prevenire o ritardare l’insorgenza del T2D e delle sue complicanze. Una diagnosi precoce della malattia può potenziare notevolmente i risultati terapeutici e farmacologici nel tempo.
Il modello utilizzato nello studio
Wagner e collaboratori dell’Institute for Diabetes Research and Metabolic Diseases di Helmholtz in Germania e il loro network internazionale hanno sviluppato un processo per identificare e raggruppare individui a rischio utilizzando misure fenotipiche assieme a misurazioni glicemiche. I gruppi differiscono tra loro per probabilità di sviluppare il T2D e le sue complicanze. Il modello utilizzato nello studio si è basato su approcci di “machine learning” per dividere in “clusters” i soggetti a rischio tramite due studi prospettici su migliaia di individui. I ricercatori hanno incluso nel loro modello misurazioni e stime della secrezione e resistenza all’insulina, test di tolleranza al glucosio orale, misurazioni accurate basate sull’imaging e misurazioni spettroscopiche, analisi del tessuto adiposo viscerale e sottocutaneo, del contenuto di grasso epatico, e punteggi di rischio di diabete tipo 2 basati su analisi poligenica. Al pool di replicazione (di individui) è stato fatto un set correlato di analisi fenotipiche più semplici [misura di secrezione insulinica e di resistenza all’insulina, test di tolleranza al glucosio orale, trigliceridi a digiuno, colesterolo ematico, circonferenza della vita, circonferenza dell’anca e Indice di massa corporea (BMI dall’inglese Body Mass Index)].
Identificati 6 sottogruppi di persone a differente rischio di complicanze
Gli Autori hanno eseguito quindi un clustering (analisi dei gruppi) di correlazione che ha permesso di identificare 6 sottogruppi di individui che presentano rischi distinti di progressione di T2D e delle sue complicanze. I parametri “semplici” possono essere più facilmente misurati per un paziente così da inserirlo in uno dei 6 gruppi di rischio clusterizzati e permetterne al bisogno analisi più approfondite e suggerimento immediato per la strategia terapeutica più idonea. I ricercatori hanno analizzato dati che comprendevano anche soggetti che inizialmente non avevano diagnosi di T2D o non erano classificabili come “a rischio” (per es. storia familiare di diabete, diabete gestazionale, obesità, patologie correlate). Inoltre, sono stati presi in esame individui che differivano anche per l’uso o meno di insulina e farmaci ipoglicemizzanti. Ciò ha consentito di inserire nella previsione del rischio tutte le categorie più ampie di pazienti nella popolazione.
Sintesi dei risultati
- Due gruppi (3 e 5) si sono distinti per avere il più alto rischio di progressione del diabete tipo 2 (in entrambi i gruppi di studio). Questi due gruppi avevano la più alta percentuale di individui con glicemia basale irregolare. Grazie all’analisi statistica, gli Autori hanno scoperto che il rischio cumulativo di diabete in questi due sottogruppi risulta ancora più alto rispetto di quello che avrebbero in base al solo valore glicemico assoluto.
- Un cluster diverso (6) aveva sì valori di glicemia basale più elevata, ma un minor rischio di progressione delle complicanze diabetiche rispetto ai cluster 3 e 5. Tuttavia, questo gruppo presentava un più elevato rischio di malattia renale e mortalità. Gli autori ipotizzano che la correlazione sia da attribuirsi a un maggior volume di grasso a livello renale e al ridotto carico di varianti genetiche connesse fisiologicamente alla funzione delle cellule beta pancreatiche negli individui in questo cluster.
- Gli altri gruppi (1, 2 e 4) risultavano avere minor rischio di sviluppo del T2D e delle sue complicanze nel tempo.
Conclusioni
Oltre a fornire uno strumento per la classificazione del rischio di evoluzione del diabete tipo 2 e delle sue complicanze, questi clusters puntano a identificare una diversa fisiopatologia alla base in ogni sottogruppo di individui, e quindi offrono interessanti opportunità per ottenere una visione meccanicistica della patogenesi del T2D e delle sue complicanze.
I 6 diversi profili di rischio osservabili nei clusters evidenziano la possibilità di interventi più adatti per ciascun cluster, e in particolare per i clusters a più elevato rischio. I clusters a basso rischio possono rappresentare gruppi di individui per i quali le linee guida potrebbero essere (magari) “allentate”, evitando interventi non necessari e promuovendo un uso più consapevole ed economico delle risorse sanitarie a disposizione.
Vale la pena sottolineare che mentre questi approcci di raggruppamento hanno un fascino concettuale di classificazione dei pazienti, i risultati (per esempio il rischio di complicanze renali) suggeriscano approcci più personalizzati per ogni singolo paziente. La ricerca futura trarrà vantaggio da ulteriori indagini e confronti tra approcci ottimizzati di modellazione e regressione predittiva. Poiché la prevalenza sia del prediabete che del diabete tipo 2 continua ad aumentare in tutto il mondo, la capacità di identificare le persone più ad alto rischio di T2D e delle sue complicanze e di intervenire per frenare questa epidemia è assolutamente necessaria. Infine, l’analisi di Wagner e collaboratori è utile come prova del concetto che esiste effettivamente la possibilità di distinguere in modo preventivo gli individui dal rischio di sviluppo del T2D e delle sue complicanze. Questi sottogruppi di persone a rischio forniranno potenziale per migliori pratiche di screening e strategie di prevenzione clinica.
Reference
Wagner, R., Heni, M., Tabák, A.G. et al – Pathophysiology-based subphenotyping of individuals at elevated risk for type 2 diabetes. Nat Med 27, 49–57 (2021)
** L’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) è un centro di ricerca pubblico che adotta il modello della Fondazione di diritto privato (www.iit.it). L’obiettivo dell’IIT è quello di promuovere l’eccellenza nella ricerca di base e in quella applicata e di favorire lo sviluppo del sistema economico nazionale. Lo staff complessivo di IIT conta 1716 persone provenienti da oltre 60 Paesi. L’area scientifica è rappresentata da circa il 80% del personale. Più del 50% dei ricercatori proviene dall’estero: di questi, il 32% è costituito da stranieri e il 18% da italiani rientrati nel nostro Paese. La produzione di IIT ad oggi (Agosto 2020) vanta 14.500 pubblicazioni, oltre 200 progetti Europei e quasi 50 ERC, oltre 1000 titoli di brevetti attivi, 24 start-up costituite e più di 40 in fase di lancio. Dal 2009 l’attività scientifica è stata ulteriormente rafforzata con la creazione di Central Research Laboratories sul territorio genovese, 11 centri di ricerca IIT nel territorio nazionale (Torino, Milano, Trento, Roma, Pisa, Napoli, Lecce, Ferrara e Venezia), e 2 sedi IIT all’estero (MIT ed Harvard negli USA).